
S I C I L I A
POSIZIONE GEOGRAFICA
La Sicilia fa parte dell’ Italia Insulare.
È la maggior isola del Mediterraneo ed è collocata a Sud della penisola italiana.
Confina a Nord con il Mar Tirreno, a Est con il Mar Ionio, a Sud e a Ovest con il Mar di Sicilia o Mar Mediterraneo.
GEOGRAFIA FISICA
L’ isola in prevalenza ha costituzione collinare ( 61 % ), le montagne che coprono il 25 % del territorio sono la continuazione della catena appenninica oltre lo Stretto di Messina, le pianure che rivestono il 14 % della regione sono nella maggior parte alluvionali e le si incontrano nella provincia di Catania, Caltanissetta ( Gela ), Trapani e in ristrette zone costiere.
Il terreno siculo, molto friabile, è per lo più calcareo e argilloso.
La catena calcarea dei Monti Peloritani, Nebrodi e Madonie, attraversano l’ isola nella parte Settentrionale, da Messina fino alla provincia di Palermo.
L’ altitudine massima di questa catena è rappresentata dal Monte Pizzo Carbonara con 1.979 metri.
Altri gruppi montagnosi interessanti, con altitudini però che non raggiungono i 1.000 metri, sono quelli Iblei nelle province di Ragusa e Siracusa, e quelli Erei nel cuore dell’ isola.
L’ Etna ( 3.350 metri ), il maggior vulcano attivo d’ Europa, si erge in solitudine a circa 30 chilometri da Catania.
I fiumi sono tutti brevi, regime irregolare, e poveri d’ acqua.
I più importanti sono il Platani, il Dittaino, il Simeto, il Salso e il Belice.
Non sono presenti laghi importanti, come d’ altronde nella maggior parte di tutta l’ Italia Insulare e Meridionale.
Alcuni, di piccole dimensioni, sono creati artificialmente nel corso di fiumi.
Tra questi i laghi di Rubino, Arancio e Poma, situati nella fascia Occidentale dell’ isola.
L’ attività vulcanica è molto intensa, caratterizzata non solamente dalla presenza dell’ Etna, ma anche dai vulcani presenti nelle isole Stromboli e Vulcano.Frequenti anche i fenomeni sismici, tra i quali quello del 1693 che coinvolse le province di Catania e Ragusa, e quello catastrofico di Messina del 1908.
GEOGRAFIA POLITICA
La Sicilia ha una estensione territoriale di 25.707 chilometri quadrati.
È la più grande regione d’ Italia, oltre a essere la maggiore isola del Mediterraneo.
Con i suoi 5.000.000 di abitanti, la Sicilia è anche tra le prime cinque regioni maggiormente popolate d’ Italia.
L’ isola, a Statuto speciale, è divisa in nove province : Palermo ( il capoluogo regionale ), Catania, Siracusa, Messina, Enna, Agrigento, Trapani, Ragusa e Caltanissetta.
Alla Sicilia appartengono anche varie isole e arcipelaghi : Isola di Pantelleria, l’ isola di Ustica, l’ Arcipelago delle Isole Pelagie con l’ isola di Lampedusa, l’ Arcipelago delle Isole Egadi con l’ isola di Favignana, l’ Arcipelago delle Isole Egadi con l’ isola Lipari.
La maggior città della regione, che è anche la seconda di tutta l’ Italia Meridionale e Insulare preceduta appena da Napoli, è Palermo con 700.000 abitanti.
Seguono Catania ( 333.000 ), Messina ( 230.000 ), Siracusa ( 126.000 ) e Marsala ( 77.000 ) maggiore del suo capoluogo regionale Trapani ( 70.000 ).
Oltre ai nove capoluoghi di provincia, sono presenti altre numerose località di forte interesse demografico : la già citata Marsala, Gela, Menfi, Sciacca, Giarre, Cefalù, Paternò, Taormina, Noto, Modica, Vittoria, Caltagirone, Canicattì, Alcamo, Castelvetrano, Mazara del Vallo, Bagheria, alcune tra loro.
Buone le vie di comunicazione : la A – 18 unisce Messina a Catania, la A – 19 ( Palermo – Catania ) collega le due maggiori città dell’ isola passando per Enna e Caltanissetta, nel cuore della regione, e la A – 29 che da Palermo scende fino a Mazara del Vallo, unificando con le sue ramificazioni in direzione di Trapani e Marsala, i più importanti centri commerciali della Sicilia Occidentale.
CLIMA
Nella maggior parte della regione il clima è tipicamente mediterraneo quasi tutto l’ anno.
L’ andamento climatico è determinato da inverni miti ed estati calde con lunghi periodi di siccità.
Nelle zone costiere il clima è più temperato.
All’ interno l’ intenso irraggiamento solare diurno è contrapposto da un gradevole refrigerio notturno di tipo continentale.
Questo è dovuto alle forti escursioni termiche che caratterizzano i rilievi montuosi e collinari, con sbalzi di temperatura anche di 15 – 20 gradi.
Le piogge, peraltro scarse, sono concentrate soprattutto nei mesi invernali.
STORIA DELLA REGIONE
Con la sua grande posizione strategica, l’ isola della Sicilia fu soggetta per moltissimi secoli a continue guerre e lotte di potere.
L’ isola fu abitata da antichi popoli italici fin dal II º millennio a. C. .
Durante il corso del I º millennio a. C. giunsero varie civiltà che contribuirono alla crescita della regione : Fenici, Cretesi - Micenei, Greci e Cartaginesi.
Quest’ ultimi vi installarono numerose e importanti basi militari durante le guerre puniche contro Roma.
Nel III º secolo a. C. l’ isola venne conquistata dai Romani.
Caduto l’ Impero Romano d’ Occidente, la Sicilia fu amministrata dai Bizantini che diedero impulso allo sviluppo delle grandi proprietà religiose, le quali andarono assumendo la fisionomia del latifondo.
Tra il IX º e il X º secolo l’ isola appartenne ai Saraceni, e sotto il dominio arabo il latifondo venne abolito.
Agli Arabi seguirono i Normanni ( X – XI º secolo ) e gli Svevi ( XII – XIII º secolo ), che dettero nuova vita ai latifondi clericali e baronali, rivitalizzarono l’ agricoltura e arricchirono notevolmente l’ isola dal punto di vista culturale.
Con la dominazione Angioina e Aragonese del XIII e XIV º secolo, la Sicilia cadde in una irrefrenabile decadenza.
Una decadenza che continuò forte anche nei secoli successivi con i Vicerè Spagnoli prima e i Borboni poi.
L’ 11 maggio del 1860, a Marsala, vi fu lo sbarco dei Mille comandati da Giuseppe Garibaldi.
Nello stesso anno l’ isola fu annessa al Regno d’ Italia.
La faticosa e lenta risalita dal declino secolare è ancora in atto nei giorni nostri, ma va riconosciuto alla bellissima regione siciliana la grande crescita di immagine degli ultimi decenni.
Una immagine per un popolo unico nella ospitalità ed esemplare nella determinazione al superamento di ogni fatalità che la storia gli ha imposto.
ATTIVITÀ ECONOMICHE
Molto attiva nello sfruttamento delle sue risorse economiche, la Sicilia ha nell’ agricoltura la principale attività.
Buone le produzioni di cereali, ortaggi, olive, uve da vino e da tavola, mandorle, nocciole e agrumi, tra i quali le famose ‘‘ Arance di Sicilia ’’.
Discreto è l’ allevamento del bestiame, molto più intensa è la pesca ( tonno, pesce spada, pesce azzurro ) con gli importanti porti di Palermo e Mazara del Vallo.
L’ industria mineraria opera prevalentemente nella estrazione di zolfo, salgemma e petrolio.
I settori industriali più attivi operano nel petrolchimico, con l’ enorme complesso industriale di Gela, automobilistico con lo stabilimento di Termini Imerese, metallurgico, metalmeccanico, chimico e alimentare ( olio, vino, farina, liquori, etc… ).
Nonostante la grande presenza di meravigliosi paesaggi naturali, di città storiche e di monumenti, la Sicilia non vede ancora nel turismo una grande fonte di ricchezza.
Le principali località turistiche sono Palermo, Agrigento, Siracusa, Catania, Taormina, Cefalù, Erice, Acireale, le isole Eolie e Marsala.
Buone le produzioni di cereali, ortaggi, olive, uve da vino e da tavola, mandorle, nocciole e agrumi, tra i quali le famose ‘‘ Arance di Sicilia ’’.
Discreto è l’ allevamento del bestiame, molto più intensa è la pesca ( tonno, pesce spada, pesce azzurro ) con gli importanti porti di Palermo e Mazara del Vallo.
L’ industria mineraria opera prevalentemente nella estrazione di zolfo, salgemma e petrolio.
I settori industriali più attivi operano nel petrolchimico, con l’ enorme complesso industriale di Gela, automobilistico con lo stabilimento di Termini Imerese, metallurgico, metalmeccanico, chimico e alimentare ( olio, vino, farina, liquori, etc… ).
Nonostante la grande presenza di meravigliosi paesaggi naturali, di città storiche e di monumenti, la Sicilia non vede ancora nel turismo una grande fonte di ricchezza.
Le principali località turistiche sono Palermo, Agrigento, Siracusa, Catania, Taormina, Cefalù, Erice, Acireale, le isole Eolie e Marsala.
LA VOSTRA VACANZA
Il vostro viaggio siciliano ve lo propongo in stile ‘‘ garibaldino ’’ cominciando da Marsala, estremità massima Occidentale dell’ isola, per terminare a Messina, ma può essere effettuato anche al contrario.
La città in provincia di Trapani è una delle più importanti della Sicilia sia per il numero degli abitanti che per l’ interesse economico, storico e turistico.
Qui nasce uno dei vini liquorosi più famosi nel mondo : l’ omonimo Marsala.
Fondata dai Cartaginesi nel IV º sec. a. C. con il nome di ‘‘ Lilibeo ’’, nel IX º secolo fu conquistata dai Saraceni che la ribattezzarono con il nome di ‘‘ Marsa’ Alì ’’ ( Porto di Alì ).
Da questo nome deriva quello attuale.
Proprio a Marsala l’ 11 maggio 1860, vi sbarcò Garibaldi e il suo esercito dando inizio alla unificazione italiana.
La città conserva un Duomo di origine normanna con facciata del ‘700, una interessante Insula romana del III º sec. d. C. , e il bel Palazzo Comunale del XVIII º secolo.
Da visitare, per gli appassionati del vino e non, il glorioso Museo Florio, dove sono conservati perfettamente 170 anni di storia del vino più famoso di Sicilia.
Da Marsala dirigetevi ora verso Trapani, distante circa 30 chilometri.
La città è il capoluogo della provincia più Occidentale della Sicilia, provincia tra le più vitate d’ Italia, forse la maggiore.
I principali monumenti di Trapani sono il Santuario dell’ Annunziata, costruito all’ inizio del ‘300 e interamente rifatto nel 1760, la chiesa medioevale di San Domenico, e il Palazzo del Municipio in bello stile barocco.
Uscite da Trapani e recatevi senza esitazioni in una delle più belle località balneari di tutta l’ Italia Meridionale : Erice, situata a pochi chilometri dal capoluogo in una posizione panoramica privilegiata.
Proseguite ora in direzione di Palermo, ma prima fermatevi ad ammirare le rovine greche della città di Segesta, nei pressi di Calatafimi.
Qui potrete visitare il Tempio del V º sec. a. C. molto ben conservato, il Teatro del III º sec. a. C. con gradinate scavate nella roccia, e i resti della antica città appartenente alla Magna Grecia.
Da Segesta riprendete la A – 29 e continuate il viaggio verso il capoluogo regionale.
Distante una sessantina di chilometri da Segesta, Palermo è senza dubbio una delle più belle città d’ Italia.
Ricchissima la sua storia e molteplici i monumenti da visitare.
Fondata dai Fenici con il nome di ‘‘ Panormo ’’ nel I º millennio a. C., divenne base cartaginese nel IV º secolo a. C., poi romana.
Successivamente fece parte dell’ impero bizantino, divenne capitale dell’ Emirato Arabo di Sicilia, e fu conquistata dai Normanni.
In seguito passò agli Svevi, agli Angioini, agli Aragonesi, ai Savoia ai Borboni, annessa infine al Regno d’ Italia nel 1860.
I monumenti principali sono la Cattedrale, fantastica costruzione normanna del XII º secolo, con importanti trasformazioni – come l’ aggiunta della cupola – effettuate nella fine del Settecento ; la Chiesa della Martorana, costruita nel 1143 e ceduta nel 1433 al monastero benedettino fondato da Eloisa Martorana, dalla quale la chiesa prese il nome, che conserva una facciata barocca, un campanile ad arcate, e all’ interno meravigliosi mosaici bizantini ; il Palazzo Reale di costruzione araba, trasformato dai Normanni in residenza reale e che custodisce la Cappella Palatina ; le chiese di San Matteo, del Salvatore e di San Giuseppe, in stile barocco ; la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti in stile normanno, edificata nel 1132, con cinque cupole rosse ; le chiese di San Cataldo e del Vespro sempre di stile normanno ; l’ originalissima piazza barocco dei Quattro Canti costruita tra il 1609 e il 1620, smussando gli angoli dei quattro palazzi che la circondano, ricca di statue ; i numerosi palazzi in stile barocco come il Collegio dei Gesuiti e i palazzi baronali ; i moderni Teatro Massimo e Politeama Garibaldi.
Per riposarvi dopo tutte queste meraviglie architettoniche, recatevi nella periferia della città ai piedi del Monte Pellegrino e visitate il fantastico Parco della Favorita.
Poco distante da Palermo, nell’ entroterra, si trova Monreale : da visitare assolutamente il Duomo del 1174, considerato il capolavoro dell’ architettura siciliana durante il periodo normanno.
Da Monreale ora recatevi a Cefalù, sulla costa tirrenica in direzione Est, distante circa 65 chilometri.
Qui merita una visita la Cattedrale normanna del XII º sec., altro mirabile esempio di architettura dell’ isola.
La piccola città in provincia di Palermo è anche una delle più famose località balneari della Sicilia.
Da Cefalù prendete la A – 19 che lega Palermo a Catania e dirigetevi verso Enna, nel cuore della regione.
L’ antichissimo centro di origine greca, conserva il Duomo costruito agli inizi del XIV º sec., e un imponente Castello con una fortificazione originaria che prevedeva 22 torri, ma delle quali solamente sei si sono conservate.
Da Enna recatevi ora verso Caltanissetta lontana 35 chilometri.
L’ antica ‘‘ Nissa ’’ conserva il Duomo in stile barocco costruito nella fine del ‘500, la bella Fontana di Nettuno, la Settecentesca Chiesa di San Domenico, la Chiesa di San Sebastiano, e il Palazzo Moncada in stile barocco, oggi sede del Tribunale.
Prima di recarvi nuovamente verso il litorale, spostatevi a Piazza Armerina, distante una quarantina di chilometri da Caltanissetta.
Questa piccola località in provincia di Enna, è divenuta una importante stazione turistica siciliana grazie soprattutto agli scavi archeologici che hanno riportato alla luce importanti mosaici romani raffiguranti la vita quotidiana dell’ epoca e risalenti al III º sec. d. C. .
Recatevi ora senza perplessità, nonostante l’ ora e mezzo / due di viaggio, verso Agrigento, altro punto turistico di notevole interesse.
La vecchia ‘‘ Akràgas ’’, colonia greca nel VI º sec. a. C., conserva resti di templi dorici del VI – V º sec. a. C., raggruppati nella conosciutissima Valle dei Templi, poco fuori dalla città.
Nella Valle spicca il Tempio della Concordia, superbo esempio di architettura greca, molto ben conservato.
Nella città di Agrigento vale la pena visitare inoltre il Duomo del XIII – XIV º sec., ricostruito nel XVIII º con Campanile del Trecento, il più antico Santuario italico che si conosca, risalente all’ VII º sec. a. C. e costruito in delle grotte, il Museo Archeologico con numerosi reperti risalenti a varie civiltà del I º millennio a. C. .
Da Agrigento ora spostatevi verso Ragusa, il capoluogo di provincia più a Sud d’ Italia, distante circa 130 chilometri.
La città fu distrutta dal terribile terremoto del 1693, ma fu successivamente ricostruita in stile barocco e medioevale. I principali monumenti sono la Basilica di San Giorgio del Settecento, la Chiesa di Santa Maria delle Scale, la Cattedrale con la ricca facciata e l’ imponente Campanile risalente al XVIII º sec. .
Da Ragusa dirigetevi verso Siracusa, sulla costa ionica.
Colonia greca dall’ VIII º sec. a. C., Siracusa fu una storica alleata di Cartagine nella lotta contro Roma.
Ricchissima di monumenti, la città è costruita in parte nella Sicilia e in parte sulla piccola isola dell’ Ortigia, collegata al litorale mediante un canale artificiale.
Visitate il Tempio di Atena, il Castello Eurialo, il bellissimo Teatro, tutti risalenti al periodo della Magna Grecia.
Da vedere inoltre l’ Anfiteatro Romano, il Castello Imperiale di stile gotico, i palazzi baronali, l’ Altare di Gerone II, e la Cittadella fatta costruire da Gerone, dittatore della città nel IV º sec. a. C., periodo tra l’ altro dove Siracusa divenne una grande potenza politica.
Nella città sgorga una sorgente, la Fonte Aretusa, circondata da una antica leggenda : la ninfa Aretusa cercando di sfuggire all’ amore del Dio Alfeo, chiese aiuto alla Dea Artemide, la quale trasformò la ninfa in una sorgente che scomparve nel sottosuolo e riafforò proprio a Siracusa, mista alle acque del fiume Alfeo.
Infatti la Dea aveva trasformato il Dio in un fiume, il quale non rinunciò a seguire la sua ninfa amata.
Siracusa fu anche la città del celebre scienziato Archimede, protagonista con le sue invenzioni nel III º a. C. nella lotta contro le navi romane.
Da Siracusa ora, restando sulla costa, salite in direzione Nord verso Catania, lontana quasi 70 chilometri.
Come Ragusa, anche la seconda città siciliana venne duramente colpita dal terremoto del 1693.
Altro centro turistico di grande interesse, Catania conserva il Teatro, l’ Anfiteatro, l’ Odeon e le Terme, tutti monumenti risalenti al periodo romano, il Duomo in stile barocco, che contiene all’ interno la Cappella di Sant’ Agata, patrona della città, e un interessante affresco del 1679 che raffigura Catania sotto l’ eruzione dell’ Etna del 1669.
Nella piazza del Duomo potrete ammirare inoltre la bellissima Fontana dell’ Elefante del XVIII º sec., simbolo della città etnea, e la Chiesa di Sant’ Agata con la sua imponente cupola.
Visitate inoltre i vari palazzi in stile barocco e il Castello Ursino costruito nella metà del XIII º secolo, più volte danneggiato da terremoti e altrettante volte restaurato.
Catania, sede di una importante e antica Università fondata nel 1434, è famosa anche per aver dato i natali nel 1801 al musicista e compositore Vincenzo Bellini.
Uscendo da Catania prendete la vecchia strada che costeggia il Mar Ionio e fermatevi dopo pochi chilometri, sempre in direzione Nord, ad Acireale.
La bella località balneare conserva un Duomo costruito tra la fine del ‘500 e l’ inizio del ‘600.
Continuate ora verso Taormina distante poco meno di 50 chilometri da Catania.
Tra i punti turistici di maggiore interesse di tutta Italia, Taormina unisce alle sue bellezze naturali, una serie di monumenti di notevole interesse storico e di fascino.
Da visitare l’ incredibile Teatro Greco restaurato dai Romani, l’ Odeon, vari palazzi baronali risalenti al Quattrocento.
Mondialmente conosciuta, Taormina è sede di numerose e importanti manifestazioni culturali.
Come ultima tappa, a conclusione di questo entusiasmante viaggio siciliano, recatevi a Messina, distante circa 45 chilometri da Taormina.
La città dello Stretto fondata nel 724 a. C. da pirati greci, visse nel 1908 il momento più tragico di tutta la sua storia millenaria.
Un terremoto e un maremoto di spaventose proporzioni rase al suolo l’ intera città, provocando 70.000 vittime.
A seguito di questa fatalità la città venne interamente ricostruita, anche se subì gravissime perdite anche dal punto di vista monumentale.
Le due principali opere storico – architettoniche della città sono il Duomo, totalmente rifatto in base all’ original del XII º secolo dodici anni dopo il terremoto, e la Chiesa dell’ Annunziata con facciata del XIII º secolo.
Vorrei aggiungere una ulteriore suggestione per coloro che hanno qualche giorno in più a disposizione nella vacanza :la Sicilia offre ai suoi visitatori anche delle piccole isole assolutamente meravigliose.
Recatevi quindi a Isola di Pantelleria, Lampedusa, Ustica, Linosa, l’ Arcipelago delle Egadi, l’ Arcipelago delle Eolie (o Lipari ), vicine e lontane rifiniture di una tra le più belle regioni del mondo.
La città in provincia di Trapani è una delle più importanti della Sicilia sia per il numero degli abitanti che per l’ interesse economico, storico e turistico.
Qui nasce uno dei vini liquorosi più famosi nel mondo : l’ omonimo Marsala.
Fondata dai Cartaginesi nel IV º sec. a. C. con il nome di ‘‘ Lilibeo ’’, nel IX º secolo fu conquistata dai Saraceni che la ribattezzarono con il nome di ‘‘ Marsa’ Alì ’’ ( Porto di Alì ).
Da questo nome deriva quello attuale.
Proprio a Marsala l’ 11 maggio 1860, vi sbarcò Garibaldi e il suo esercito dando inizio alla unificazione italiana.
La città conserva un Duomo di origine normanna con facciata del ‘700, una interessante Insula romana del III º sec. d. C. , e il bel Palazzo Comunale del XVIII º secolo.
Da visitare, per gli appassionati del vino e non, il glorioso Museo Florio, dove sono conservati perfettamente 170 anni di storia del vino più famoso di Sicilia.
Da Marsala dirigetevi ora verso Trapani, distante circa 30 chilometri.
La città è il capoluogo della provincia più Occidentale della Sicilia, provincia tra le più vitate d’ Italia, forse la maggiore.
I principali monumenti di Trapani sono il Santuario dell’ Annunziata, costruito all’ inizio del ‘300 e interamente rifatto nel 1760, la chiesa medioevale di San Domenico, e il Palazzo del Municipio in bello stile barocco.
Uscite da Trapani e recatevi senza esitazioni in una delle più belle località balneari di tutta l’ Italia Meridionale : Erice, situata a pochi chilometri dal capoluogo in una posizione panoramica privilegiata.
Proseguite ora in direzione di Palermo, ma prima fermatevi ad ammirare le rovine greche della città di Segesta, nei pressi di Calatafimi.
Qui potrete visitare il Tempio del V º sec. a. C. molto ben conservato, il Teatro del III º sec. a. C. con gradinate scavate nella roccia, e i resti della antica città appartenente alla Magna Grecia.
Da Segesta riprendete la A – 29 e continuate il viaggio verso il capoluogo regionale.
Distante una sessantina di chilometri da Segesta, Palermo è senza dubbio una delle più belle città d’ Italia.
Ricchissima la sua storia e molteplici i monumenti da visitare.
Fondata dai Fenici con il nome di ‘‘ Panormo ’’ nel I º millennio a. C., divenne base cartaginese nel IV º secolo a. C., poi romana.
Successivamente fece parte dell’ impero bizantino, divenne capitale dell’ Emirato Arabo di Sicilia, e fu conquistata dai Normanni.
In seguito passò agli Svevi, agli Angioini, agli Aragonesi, ai Savoia ai Borboni, annessa infine al Regno d’ Italia nel 1860.
I monumenti principali sono la Cattedrale, fantastica costruzione normanna del XII º secolo, con importanti trasformazioni – come l’ aggiunta della cupola – effettuate nella fine del Settecento ; la Chiesa della Martorana, costruita nel 1143 e ceduta nel 1433 al monastero benedettino fondato da Eloisa Martorana, dalla quale la chiesa prese il nome, che conserva una facciata barocca, un campanile ad arcate, e all’ interno meravigliosi mosaici bizantini ; il Palazzo Reale di costruzione araba, trasformato dai Normanni in residenza reale e che custodisce la Cappella Palatina ; le chiese di San Matteo, del Salvatore e di San Giuseppe, in stile barocco ; la Chiesa di San Giovanni degli Eremiti in stile normanno, edificata nel 1132, con cinque cupole rosse ; le chiese di San Cataldo e del Vespro sempre di stile normanno ; l’ originalissima piazza barocco dei Quattro Canti costruita tra il 1609 e il 1620, smussando gli angoli dei quattro palazzi che la circondano, ricca di statue ; i numerosi palazzi in stile barocco come il Collegio dei Gesuiti e i palazzi baronali ; i moderni Teatro Massimo e Politeama Garibaldi.
Per riposarvi dopo tutte queste meraviglie architettoniche, recatevi nella periferia della città ai piedi del Monte Pellegrino e visitate il fantastico Parco della Favorita.
Poco distante da Palermo, nell’ entroterra, si trova Monreale : da visitare assolutamente il Duomo del 1174, considerato il capolavoro dell’ architettura siciliana durante il periodo normanno.
Da Monreale ora recatevi a Cefalù, sulla costa tirrenica in direzione Est, distante circa 65 chilometri.
Qui merita una visita la Cattedrale normanna del XII º sec., altro mirabile esempio di architettura dell’ isola.
La piccola città in provincia di Palermo è anche una delle più famose località balneari della Sicilia.
Da Cefalù prendete la A – 19 che lega Palermo a Catania e dirigetevi verso Enna, nel cuore della regione.
L’ antichissimo centro di origine greca, conserva il Duomo costruito agli inizi del XIV º sec., e un imponente Castello con una fortificazione originaria che prevedeva 22 torri, ma delle quali solamente sei si sono conservate.
Da Enna recatevi ora verso Caltanissetta lontana 35 chilometri.
L’ antica ‘‘ Nissa ’’ conserva il Duomo in stile barocco costruito nella fine del ‘500, la bella Fontana di Nettuno, la Settecentesca Chiesa di San Domenico, la Chiesa di San Sebastiano, e il Palazzo Moncada in stile barocco, oggi sede del Tribunale.
Prima di recarvi nuovamente verso il litorale, spostatevi a Piazza Armerina, distante una quarantina di chilometri da Caltanissetta.
Questa piccola località in provincia di Enna, è divenuta una importante stazione turistica siciliana grazie soprattutto agli scavi archeologici che hanno riportato alla luce importanti mosaici romani raffiguranti la vita quotidiana dell’ epoca e risalenti al III º sec. d. C. .
Recatevi ora senza perplessità, nonostante l’ ora e mezzo / due di viaggio, verso Agrigento, altro punto turistico di notevole interesse.
La vecchia ‘‘ Akràgas ’’, colonia greca nel VI º sec. a. C., conserva resti di templi dorici del VI – V º sec. a. C., raggruppati nella conosciutissima Valle dei Templi, poco fuori dalla città.
Nella Valle spicca il Tempio della Concordia, superbo esempio di architettura greca, molto ben conservato.
Nella città di Agrigento vale la pena visitare inoltre il Duomo del XIII – XIV º sec., ricostruito nel XVIII º con Campanile del Trecento, il più antico Santuario italico che si conosca, risalente all’ VII º sec. a. C. e costruito in delle grotte, il Museo Archeologico con numerosi reperti risalenti a varie civiltà del I º millennio a. C. .
Da Agrigento ora spostatevi verso Ragusa, il capoluogo di provincia più a Sud d’ Italia, distante circa 130 chilometri.
La città fu distrutta dal terribile terremoto del 1693, ma fu successivamente ricostruita in stile barocco e medioevale. I principali monumenti sono la Basilica di San Giorgio del Settecento, la Chiesa di Santa Maria delle Scale, la Cattedrale con la ricca facciata e l’ imponente Campanile risalente al XVIII º sec. .
Da Ragusa dirigetevi verso Siracusa, sulla costa ionica.
Colonia greca dall’ VIII º sec. a. C., Siracusa fu una storica alleata di Cartagine nella lotta contro Roma.
Ricchissima di monumenti, la città è costruita in parte nella Sicilia e in parte sulla piccola isola dell’ Ortigia, collegata al litorale mediante un canale artificiale.
Visitate il Tempio di Atena, il Castello Eurialo, il bellissimo Teatro, tutti risalenti al periodo della Magna Grecia.
Da vedere inoltre l’ Anfiteatro Romano, il Castello Imperiale di stile gotico, i palazzi baronali, l’ Altare di Gerone II, e la Cittadella fatta costruire da Gerone, dittatore della città nel IV º sec. a. C., periodo tra l’ altro dove Siracusa divenne una grande potenza politica.
Nella città sgorga una sorgente, la Fonte Aretusa, circondata da una antica leggenda : la ninfa Aretusa cercando di sfuggire all’ amore del Dio Alfeo, chiese aiuto alla Dea Artemide, la quale trasformò la ninfa in una sorgente che scomparve nel sottosuolo e riafforò proprio a Siracusa, mista alle acque del fiume Alfeo.
Infatti la Dea aveva trasformato il Dio in un fiume, il quale non rinunciò a seguire la sua ninfa amata.
Siracusa fu anche la città del celebre scienziato Archimede, protagonista con le sue invenzioni nel III º a. C. nella lotta contro le navi romane.
Da Siracusa ora, restando sulla costa, salite in direzione Nord verso Catania, lontana quasi 70 chilometri.
Come Ragusa, anche la seconda città siciliana venne duramente colpita dal terremoto del 1693.
Altro centro turistico di grande interesse, Catania conserva il Teatro, l’ Anfiteatro, l’ Odeon e le Terme, tutti monumenti risalenti al periodo romano, il Duomo in stile barocco, che contiene all’ interno la Cappella di Sant’ Agata, patrona della città, e un interessante affresco del 1679 che raffigura Catania sotto l’ eruzione dell’ Etna del 1669.
Nella piazza del Duomo potrete ammirare inoltre la bellissima Fontana dell’ Elefante del XVIII º sec., simbolo della città etnea, e la Chiesa di Sant’ Agata con la sua imponente cupola.
Visitate inoltre i vari palazzi in stile barocco e il Castello Ursino costruito nella metà del XIII º secolo, più volte danneggiato da terremoti e altrettante volte restaurato.
Catania, sede di una importante e antica Università fondata nel 1434, è famosa anche per aver dato i natali nel 1801 al musicista e compositore Vincenzo Bellini.
Uscendo da Catania prendete la vecchia strada che costeggia il Mar Ionio e fermatevi dopo pochi chilometri, sempre in direzione Nord, ad Acireale.
La bella località balneare conserva un Duomo costruito tra la fine del ‘500 e l’ inizio del ‘600.
Continuate ora verso Taormina distante poco meno di 50 chilometri da Catania.
Tra i punti turistici di maggiore interesse di tutta Italia, Taormina unisce alle sue bellezze naturali, una serie di monumenti di notevole interesse storico e di fascino.
Da visitare l’ incredibile Teatro Greco restaurato dai Romani, l’ Odeon, vari palazzi baronali risalenti al Quattrocento.
Mondialmente conosciuta, Taormina è sede di numerose e importanti manifestazioni culturali.
Come ultima tappa, a conclusione di questo entusiasmante viaggio siciliano, recatevi a Messina, distante circa 45 chilometri da Taormina.
La città dello Stretto fondata nel 724 a. C. da pirati greci, visse nel 1908 il momento più tragico di tutta la sua storia millenaria.
Un terremoto e un maremoto di spaventose proporzioni rase al suolo l’ intera città, provocando 70.000 vittime.
A seguito di questa fatalità la città venne interamente ricostruita, anche se subì gravissime perdite anche dal punto di vista monumentale.
Le due principali opere storico – architettoniche della città sono il Duomo, totalmente rifatto in base all’ original del XII º secolo dodici anni dopo il terremoto, e la Chiesa dell’ Annunziata con facciata del XIII º secolo.
Vorrei aggiungere una ulteriore suggestione per coloro che hanno qualche giorno in più a disposizione nella vacanza :la Sicilia offre ai suoi visitatori anche delle piccole isole assolutamente meravigliose.
Recatevi quindi a Isola di Pantelleria, Lampedusa, Ustica, Linosa, l’ Arcipelago delle Egadi, l’ Arcipelago delle Eolie (o Lipari ), vicine e lontane rifiniture di una tra le più belle regioni del mondo.
LA STORIA VINICOLA
Anche la Sicilia, come gran parte dell’ Italia Meridionale, è una regione di antichissime tradizioni vinicole.
Il ritrovamento di vasi vinari risalenti al II º millennio a. C. sono testimonianze che la coltura della vite era praticata prima ancora dello sbarco dei Fenici e dei Greci, i quali contribuirono a incrementare la viticoltura locale.
Durante l’ Impero Romano l’ enologia siciliana raggiunse il suo massimo splendore.
La coltura della vite continuò anche dopo la caduta di Roma fino al IX º secolo quando l’ isola fu conquistata dai Saraceni.
La religione araba impedì la produzione di vino ma non quella delle uve da tavola, anche per ottenere uva passa da offrire ai sultani ; non a caso questo tipo di uva è anche chiamata ‘‘ sultanina ’’.
Con i Normanni e gli Svevi le produzioni di uve da vino rifiorirono, con gli Aragonesi i vigneti ritornarono alle loro dimensioni naturali.
Tra il Settecento e la prima metà del Novecento grandi quantità di vino dell’ isola vennero esportati in diversi paesi europei.
Questi vini dotati di ottima corposità e forza alcolica resistevano molto bene ai lunghi viaggi e contribuirono al rafforzamento organolettico di alcuni vini del ‘‘ Vecchio Continente ’’.
Quando alla fine del 1800 la Francia venne invasa dalla fillossera, le piantagioni di viti vennero quasi interamente distrutte.
Molti vini famosi di quell’ epoca, ma anche di oggi, sopravvissero grazie anche all’ apporto di vini siciliani.
Molto vasta e variatissima è la gamma della produzione di vini della Sicilia, grazie alla conformazione geografica e climatica dell’ isola, alla fortunata collocazione dei vigneti e ai terreni di varia natura, molti dei quali vulcanici.
Intorno al Marsala, il vino siciliano più famoso, fanno corona ogni sorta di vini bianchi, rossi e rosati, aromatici o da dessert.
La Sicilia di oggi con i suoi 9.300.000 ettolitri annui di vino, è la seconda regione d’ Italia per produzione, dietro solamente alla Puglia.
Il consumo pro-capite però è uno dei più bassi della penisola, e la produzione di vini D.O.C. non raggiunge neanche il 2 % del grandissimo patrimonio vinicolo, collocando così la regione appena al 14 º posto.
La produzione siciliana è pertanto ancora orientata più sulla quantità che sulla qualità, anche se esistono molte produzioni non D.O.C. ( Corvo, Regaleali, Duca Enrico, Aragona, Ciclopi, Ambrato di Modica, etc… ) di eccezionale livello qualitativo.
È sempre più diffusa la tecnica di mescolare vitigni autoctoni con altri ‘‘ nordici ’’, al fine di ottenere prodotti sempre più competitivi alle nuove richieste di mercato.
I principali vitigni a bacca bianca coltivati sono : Catarratto, Carricante, Damaschino, Grecanico, Grillo, Chardonnay, Zibibbo, Minnella, Malvasia delle Lipari, Trebbiano Toscano, Moscato giallo e Inzolia.
Per quello che riguarda i vitigni a bacca nera i più diffusi sono : Nero d’ Avola, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Perricone, Frappato, Grosso nero, Gaglioppo, Nocera, Sangiovese e Corinto nero.
I grandi vini D.O.C. dell’ isola sono l’ Alcamo, il Cerasuolo di Vittoria, i vini di Eloro, della Contessa Entellina, dell’ Etna, il Faro di Messina, la Malvasia delle Lipari, i vini di Menfi, i Moscato di Noto, di Pantelleria e il ‘‘ mitico ’’ di Siracusa, la Sambuca di Sicilia, i vini di Santa Margherita di Belice e, naturalmente, il Marsala.
APPUNTI DI VIAGGIO
Nell’ agosto del 1994 io e la mia amica Cristina ci avventurammo in una vacanza siciliana, con quasi nulla di organizzato all’ andata, ma assolutamente indimenticabile al ritorno.
Partenza con auto alle sette di mattina : obiettivo Messina nella serata per la cena e il pernottamento.
Viaggiammo di sabato e, nonostante in piene ferie italiane, il traffico era scorrevole e relativamente tranquillo.
Una breve pausa nei dintorni di Salerno, all’ inizio della A – 3, per un veloce spuntino e via di nuovo.
A parte il caldo da Roma in giù, non fu complicato arrivare a Reggio Calabria nell’ orario previsto, cioè intorno alle 6 del pomeriggio.
La nostra soddisfazione per il programma rispettato venne bruscamente interrotta al momento in cui ci recammo nel porto per imbarcarci e attraversare lo Stretto.
Code interminabili di turisti e non, in attesa alcuni anche dalla mattina, a causa di manifestazioni sindacali che rallentavano le operazioni, evidenziando i problemi della classe lavoratrice che gestiva lo Stretto di Messina.
Tutto giusto, ma per chi aveva pochi giorni di vacanza come noi, veder bruciare così del tempo prezioso non fu di molto gradimento.
Cercammo di avere informazioni e un incaricato ci disse che il nostro imbarco era ‘‘ probabilmente ’’ risolvibile tra le 22,00 e le 23,00.
Troppo tardi, io e Cristina rinunciammo.
Rinviammo l’ attraversamento del breve lembo di mare che divide la Calabria dalla Sicilia al giorno successivo.
Per quella notte alloggiammo nello stesso albergo di un anno prima, quando conobbi Alberto, il distributore calabro di prodotti alimentari.
L’ idea era di una cena bagnata con Cirò e quel meraviglioso Greco di Bianco che assaporai sempre nella precedente esperienza calabra.
Ma la stanchezza del viaggio, la delusione di non essere entrati ancora in terra siciliana, e il rapido pranzo di poche ore prima ( anche se leggero ) ci spinsero a desistere.
La mattina seguente, sempre di buon orario, ci recammo di nuovo verso il punto d’ imbarco.
Questa volta la situazione era ben differente : l’ attraversamento funzionava a pieno ritmo e il traffico mattutino della domenica risultò ben più modesto.
Alle 9,30 entrammo in territorio siciliano.
A quel punto descrissi alla mia compagna di viaggio il primo bozzetto di programma : ‘‘ Pranziamo a Taormina dopo una visita della città e subito dopo scendiamo a Vittoria, in provincia di Ragusa.
Lì abita un vecchio compagno d’ armi di Bologna, Gianbattista, nonostante è passato molto tempo conservo ancora il suo indirizzo.
Ho anche il suo numero di telefono, provai a chiamarlo ma purtroppo questo vecchio numero non esiste più.
Se siamo fortunati a incontrarlo rapidamente, ammesso che abiti ancora là, ci aiuterà nel trovare un alloggio e magari anche a suggerirci una forma razionale e intelligente per il proseguimento della nostra vacanza ’’.
L’ idea sembrava buona, anche se le difficoltà per portarla in pratica ci apparivano una dietro l’ altra.
- Sarà che Gianbattista abita ancora a Vittoria ? Era un periodo di vacanza, forse sta viaggiando anche lui ?
- La città non è piccola. riusciremo a trovarlo velocemente ? Si ricorderà di me dopo 14 anni ?
Erano tutte domande che non avrebbero avuto risposta in quel momento, l’ unica soluzione era quella di dirigerci fin là.
In tarda mattinata arrivammo nell’ incanto di Taormina e prima del pranzo ci godemmo un poco la località.
Verso le 13,00 entrammo in uno dei numerosi e bei ristoranti della città.
Di aspetto moderno, la sala era impreziosita da alcune colonne di stile greco – romano, fedeli copie di quelle che si incontrano nei resti del glorioso passato di Taormina.
Il tempo a disposizione non era poi così tanto, quindi chiamai velocemente il cameriere per il menu e la carta dei vini.
Vittoria era distante pressapoco 150 chilometri e la strada per arrivarci, secondo la nostra mappa, non era tra le più veloci ; calcolammo quindi che il tempo di distanza che ci separava dalla città di Gianbattista era di circa due ore / due ore e mezza, e non volevamo arrivarci in tarda ora in considerazione del fatto che avevamo bisogno di tempo per la ricerca del mio ex collega d’ armi.
L’ idea di passare dopo Taormina a Catania e nei pressi dell’ Etna, al momento era da scartare.
Questi punti d’ obbligo per una qualsiasi vacanza siciliana li lasciammo per il ritorno.
Ma torniamo al ristorante taorminese.
Nella scelta dei piatti la precedenza era tutta per la mia compagna, il vino naturalmente non si discuteva.
Aspettai l’ ordine delle portate che Cristina scelse.
Furono le seguenti : fettuccine al ragù, spalla di maiale al forno e spinaci saltati in padella.
Vino rosso quindi.
Trovandoci praticamente quasi ai piedi del vulcano attivo più famoso d’ Europa, la scelta cadde su di un Etna rosso.
Preferenza che risultò felice, in quanto quel vino si ‘‘ accordò ’’ degnamente con ogni nostra singola portata.
Era appena dell’ annata precedente ma si dimostrò di buon carattere ; l’ etichetta raffigurava in grande evidenza il disegno del vulcano, in alcuni punti quasi con un effetto tridimensionale. Sarà che erutta questa bottiglia ? – chiese scherzosamente Cristina.
In effetti a prima vista ci aspettavamo un vino imperioso, vulcanico.
Errammo.
Dietro a quel bel rosso rubino intenso si celava un vino con profumo vinoso, leggermente floreale, il sapore secco, caldo, forse un poco robusto, ma molto armonico.
‘‘ È molto buono Giovanni, ma un vino con un nome come questo non meriterebbe una maggiore aggressività ? ’’
La bella ragazza ingenua dal punto di vista enologico, stava scomparendo ogni giorno di più : alla interessante domanda con buona dose di tecnica concessi una risposta che si dimostrò soddisfatoria.
‘‘ Le richieste di mercato create dal gusto dei consumatori, cambiano di generazione in generazione, qualche volta anche più rapidamente.
I produttori di oggi sanno perfettamente che un vino beverino e leggero conquista una fetta di mercato ben più rapidamente e molto più ampia rispetto a uno corposo e inebriante.
Io sono generalmente d’ accordo con queste produzioni, si degusta il vino con più tranquillità, offrendo inoltre anche la possibilità di abbinarlo facilmente a un numero ben maggiore di vivande.
Con questo però non voglio dire che sono contro ai ‘‘ potenti nettari ’’.
Tutt’ altro, un vino tannico e corposo è tra i mie i preferiti.
Esso, degustato in determinate occasioni e in proporzioni minori, offre delle sensazioni ineguagliabili ’’.
Al momento del dessert, deliziosi cannoli di Sicilia, ci vennero offerti due bicchierini di Marsala Superiore.
A quel punto approfittai per chiedere al cameriere se era possibile avere un depliant riguardante il vino Etna proposto dalla casa.
La mia richiesta fu rapidamente esaudita.
Non avevo dubbi, un ristorante di buon livello nella maggioranza dei casi è pronto ad affrontare anche clienti vinicolamente curiosi come il sottoscritto.
Tra un cannolo e un altro, e tra un sorso di Marsala e un altro, io e Cristina leggemmo avidamente tutto il contenuto di quel libricino, meravigliandomi ancora una volta per il grande interesse dimostrato dalla mia compagna sui vini, che fino a quel momento non immaginavo così forte.
Non c’ è che dire : il mondo del vino è meravigliosamente contagioso.
Ma per restare tale, ricordiamoci di entrarci ogni volta che si vuole e quando si vuole, sempre, ripeto sempre, con moderazione e intelligenza.
*
Ai piedi del vulcano in attività più noto d’ Europa, nascono i vini dell’ Etna bianco, rosso e rosato.
La provincia di Catania e i paesi etnei sono la terra della più antica civiltà agricola della Sicilia con testimonianze risalenti addirittura la periodo neolitico.
Con la colonizzazione greca del ‘700 a. C., l’ isola conobbe un forte sviluppo della vitivinicoltura ; ne testimoniano il ritrovamento di vari vasi vinari e di alcune monete raffiguranti il frutto della vite.
Nel III º secolo a. C. il poeta romano Teocrito parla della grande diffusione dei vigneti alle pendici dell’ Etna.
Durante l’ Impero Romano la produzione vinicola siciliana raggiunse il massimo splendore, sviluppata anche da importanti centri enologici dell’ epoca come Taormina, Siracusa e Agrigento.
Successivamente la viticoltura dell’ isola attraversò un periodo di decadenza, per poi riprendersi dal XIII º secolo in avanti.
In questa fase di declino la Sicilia fu soggetta a continue invasioni da parte di Normanni, Svevi, Francesi, Spagnoli e Arabi.
Quest’ ultimi proibirono la produzione di vino imponendo la distruzione dei vigneti, lasciandone alcuni appena per la produzione di uva da tavola.
Nel 1700 fu creata una legislazione che tutelava la produzione dei vini etnei, tra la metà del 1800 e i primi anni del Novecento vennero esportati con l’ ausilio di navi, grandi quantità di vini destinati ai paesi dell’ Est europeo.
L’ invasione della fillossera provocò una crisi terribile nei vigneti.
Occorsa tra la fine dell’ Ottocento e gli inizi del Novecento, la gigantesca epidemia provocò delle conseguenze spaventose, ancora avvertibili fino a pochi decenni.
Oggi questa zona presenta aspetti molto problematici per la vite e l’ agricoltura in generale. Le frequenti eruzioni del vulcano che rubano territori, la costituzione dei terreni composti da una sabbia sottile, impalpabile, sempre presente e che penetra e si attacca tenacemente in qualunque posto, la presenza di venti africani che elevano la temperatura, e la siccità, obbligano gli agricoltori e viticoltori locali sempre a un lavoro difficile ed eroico.
Tutto questo però mai pregiudicò la qualità dei vini etnei perchè oltre ai notevoli investimenti per il miglioramento della fertilità di queste terre da parte delle amministrazioni locali, è interessante far presente come le piccole viti di Carricante e Nerello Mascalese, solo in apparenza deboli e povere, forse tra le più povere d’ Italia, sono in realtà capaci di produrre grappoli ricchi di corposità e di sapori, nonostante l’ ambiente che li circonda sia un paesaggio quasi desertico.
D.O.C. dal 1968, i vini dell’ Etna si dividono in Bianco, Bianco Superiore, Rosato e Rosso.
Alla produzione del Bianco partecipano i vitigni Carricante per il 60 %, il Catarratto fino a un massimo del 40 % ; possono concorrere anche il Trebbiano, il Minnella bianco e altri vitigni non aromatici a frutto bianco fino a un massimo del 15 %.
Per il Bianco Superiore il vitigno Carricante sale all’ 80 %, il Catarratto per un massimo del 20 %, e altri vitigni non aromatici a frutto bianco non oltre il 10 %.
Nelle produzione dei Rosso e Rosato gli uvaggi sono composti dal Nerello Mascalese per l’ 80 %, il Nerello Cappuccio per un massimo del 20 %, e altri vitigni non aromatici a frutto bianco ma non oltre il 10 %.
Le varietà Bianco e Bianco Superiore hanno un profumo molto delicato tipico delle uve Carricante, leggerissime note fruttate e floreali, il sapore è secco, lievemente fresco, morbido e armonico.
Il Rosato rappresenta il punto di congiunzione tra il Bianco e il Rosso, offrendo delle interessanti qualità intermedie come profumo delicato, leggermente vinoso, floreale, il sapore è armonico, secco, fragrante e ben strutturato.
Il Rosso ha un profumo intensamente vinoso, caratteristico, con sapore secco, caldo, robusto, pieno e armonico,
Per quello che riguarda gli abbinamenti il Bianco accompagna antipasti delicati di mare, primi piatti di pesce o di verdure, crostacei, fritture di mare o di verdure, e formaggi a pasta molle poco stagionati.
Il Bianco Superiore dotato di maggiore alcolicità e corposità accompagna preparazioni di pesce con salse più saporite come quelle ‘‘ al cartoccio ’’, primi piatti sempre di mare ma con ragù elaborati, e formaggi a pasta semidura di media stagionatura.
Il Rosato è un ottimo vino da tutto pasto accompagnando sia le portate precedenti che carni bianche grigliate e rosse in semplici preparazioni ; è ottimo anche con formaggi a pasta semidura di buona stagionatura.
Il Rosso infine accompagna preparazioni saporite come pasta al ragù di carne, paste ripiene come i cannelloni, carni rosse come agnello e vitello, selvaggina di piuma, e formaggi a pasta dura anche piccanti come alcuni pecorini.
CARATTERISTICHE DEI VINI DELL’ ETNA
GRADAZIONE ALCOLICA - Bianco 11,5 gradi Bianco Superiore 12 Rosato 11,5 Rosso 12,5
COLORE - Bianco - giallo paglierino con leggeri riflessi dorati
Bianco Superiore – giallo paglierino molto scarico con riflessi verdognoli
Rosato - rosa intenso tendente a un rubino chiaro
Rosso - rosso rubino che con l’ invecchiamento presenta leggeri riflessi granata
TEMPERATURA DI SERVIZIO - Bianco 8 – 10 gradi Bianco Superiore 10 Rosato 14 Rosso 16 – 18
*
Alle 15,30 di quella domenica pomeriggio uscimmo da Taormina ben animati, per recarci in direzione di Vittoria, nella provincia di Ragusa.
Scendere fino a Catania fu relativamente rapido, ma il resto del cammino si rivelò più complicato.
Traffico intenso, strade non sempre agevoli, e qualche dubbio nel percorso, ci rubarono alcune decine di minuti preziosi.
Cosicché il nostro arrivo nella città, previsto per le 18,00, slittò alle 19,30.
Ma non ci perdemmo d’ animo.
Per questo mi recai immediatamente nel primo bar che incontrai dentro Vittoria e chiesi l’ elenco telefonico.
Cominciai a sfogliare velocemente le pagine fino ad arrivare al cognome di Gianbattista : ne erano presenti una dozzina, non con il nome del mio amico ma con uno che corrispondeva all’ indirizzo che conservavo da 14 anni.
Telefonai rapidamente.
Rispose la madre e dopo una mia presentazione mi disse, con la gentilezza siciliana che contraddistingue quelle genti, che Gianbattista si era sposato, che abitava in un altro quartiere della città, e che molto probabilmente a quell’ ora l’ avrei trovato in casa.
Ringraziai la signora e subito dopo provai a chiamare il nuovo numero che mi venne comunicato.
Fu lui personalmente che rispose.
Era sempre lo stesso, un incredibile e stretto dialetto siciliano che avevo perso l’ abitudine di ascoltare fin dai tempi di Bologna e che mi creò non pochi problemi in quei dieci minuti al telefono.
Mi riconobbe totalmente dopo un paio di minuti e il suo stupore fu enorme.
Mi chiese dove mi trovavo e mi raggiunse dopo una ventina di minuti.
Era più grassottello e con qualche capello in meno, ma la simpatia e la semplicità erano identiche a un tempo.
Superati gli abbracci iniziali, chiese : ‘‘ Avete già prenotato un albergo per passare la notte ? ’’
‘‘ Ancora no, lo volevo fare prima di contattarti se fossi arrivato prima in città, ma ora approfitto della tua presenza per farmene indicare qualcuno ’’.
Gianbattista prese il suo cellulare e telefonò ai suoi genitori chiedendogli di preparare la camera degli ospiti per le 9,30 di sera.
Guardai sbigottito la mia compagna.
Deciso in quello che stava facendo, il buon Gianbattista ci fece accomodare in un tavolo del bar per bere qualche cosa.
Tra una bibita e un’ altra parlammo per una buona mezz’ ora dei tempi nostalgici del periodo militare.
‘‘ Sempre appassionato di vini Giovanni ? ’’
‘‘ Più che mai, sono in Sicilia, anche per rafforzare la mia cultura sui vigneti e sui vini dell’ isola ’’.
‘‘ Benissimo, domani allora pranziamo insieme e invito un mio amico, grande conoscitore di tutto questo, perlomeno nell’ ambito della regione ’’.
Arrivati a quel punto ci dirigemmo verso la casa dei genitori di Gianbattista.
L’ imbarazzo mio e di Cristina fu cancellato dall’ incredibile ospitalità dei signori Giuseppe e Vera, padre e madre del mio ritrovato amico siciliano.
Alle 23,00 Gianbattista ci salutò dandoci appuntamento alla mattina seguente per una visita della città.
Egli lavorava in una industria metalmeccanica della zona, ma era in ferie ; la mia sorpresa quindi non lo costrinse a sconvolgere più di tanto il suo lunedì.
Tornò la mattina successiva con sua moglie Francesca e ci accompagnò nel centro della città.
Vittoria è una località relativamente nuova.
Fu fondata agli inizi del XVII º secolo da Vittoria Colonna, Contessa di Modica.
Presenta alcuni palazzi settecenteschi e belle chiese di stile neoclassico.
Gianbattista ci condusse in una rapida escursione anche sul litorale, distante se ricordo bene una dozzina di chilometri o poco più dal centro della città.
A mezzogiorno tornammo nella casa dei genitori.
Qui conobbi l’ invitato ed esperto enologo.
Salvatore, classico nome sicilano, era un esperto nel vero senso della parola.
Egli era un tecnico agrario nonché ampelografo e da studioso dei vini e dei vitigni, provò un grande piacere nell’ aver di fronte un umbro alla scoperta della vitivinicoltura siciliana.
Nonostante la sua giovane età ( 36 anni ) Salvatore era un pozzo di cultura senza fine.
Nel momento in cui Gianbattista ci fece accomodare nel bel salotto di casa, il tecnico agrario cominciò il suo attacco.
‘‘ Avete mai avuto occasione di bere del Faro messinese ? ’’
No purtroppo, era previsto ma il ritardo sulla tabella di marcia dovuto a problemi per l’ attraversamento dello Stretto ce lo ha impedito – risposi.
‘‘ Bene, come sapete la prima provincia che si incontra, entrando dalla Calabria, è quella di Messina.
Quello che forse non siete a conoscenza è che l’ antecedente dei vini del messinese fu il ‘‘ Mamertino ’’, un vino che inondò i banchetti di Giulio Cesare nei suoi festeggiamenti al trionfo del Terzo Consolato.
Oggi nonostante l’ estensione dei vigneti sia scesa dai 40.000 ettari della fine ‘800 ai circa 5.000 attuali ( calo dovuto principalmente alle devastazioni della fillossera negli inizi di questo secolo, ma anche a causa del terribile terremoto del 1908 ), la produzione dei vini di Messina è concentrata soprattutto tra quelli di qualità. *
Tra questi il protagonista indiscusso è il Faro, degno erede del Mamertino, una delle passioni vinicole di Giulio Cesare.
È prodotto in una zona che alla fine del XIX º secolo esportava grandi quantità di vino in Francia ( uno dei stati martoriati dalle epidemie crittogamiche ) per la produzione del Bordeaux e del Borgogna.
Da diversi anni la fama di questo eccellente rosso, ottimo sugli arrosti, è giunta sino negli Stati Uniti,
confermando un successo che dai Fenici è arrivato sino ai giorni nostri.
Restando sempre nella provincia di Messina, devo aggiungere però che se il Faro è il rosso più prestigioso, la sua fama è superata da quella della Malvasia delle Lipari.
Conosci questo vino Giovanni ? ’’
‘‘ Si Salvatore, l’ ho assaggiato in un corso di degustazione a Torgiano, proprio l’ anno scorso ’’.
E quale fu la tua impressione ? – chiese l’ ampelografo.
‘‘ Assolutamente unica, un vino vigoroso, dolce, molto aromatico, decisamente lungo in bocca.
Prima di uscire dalla Sicilia farò tutto il possibile per comprare minimo una bottiglia da far conoscere agli amici ’’.
Conosci la storia del vitigno e del legame che lo unisce a Venezia ? – domandò Salvatore.
‘‘ Solo vagamente, la diffusione della Malvasia nell’ intero Triveneto avvenne durante i tempi della Repubblica Lagunare, ma ulteriori dettagli non li conosco ’’.
Gianbattista entrò improvvisamente nella discussione : ‘‘ Calma gente, con questo caldo è bene bagnarci il becco di tanto in tanto ’’.
In quel momento arrivò la signora Vera con un vassoio contenente piccoli bicchierini a calice con gambo di colore marrone chiaro e una bottiglia di Marsala.
In attesa del pranzo godetevi questo aperitivo – disse la simpatica madre di Gianbattista.
L’ ampelografo prese il suo bicchierino di Marsala e si accomodò sul divano del salotto ; il caldo era veramente notevole, il ventilatore nel soffitto che funzionava a pieno ritmo concedeva a tutti noi un discontinuo ma prezioso refrigerio.
A quel punto il simpatico Salvatore riprese il suo racconto, sempre in un elegante dialetto siciliano che non creava particolari problemi di comprensione :
‘‘ La Malvasia ha origini antichissime, era presente già 30 secoli fa nella Grecia e nelle isole Egee dove ne è originaria.
Nonostante la qualità dei vini e vitigni Malvasia siano indiscusse già dall’ epoca degli antichi Ateniesi, l’ origine di tutti loro comunque è databile al XIII º secolo, quando cioè i Veneziani conquistata la città fortificata di Monembasia – da qui forse il nome Malvasia – nell’ estrema punta Meridionale del Peloponneso, scoprirono il vino assolutamente meraviglioso che vi veniva prodotto.
Il loro entusiasmo fu talmente grande che decisero di trapiantare alcuni vitigni nella vicina isola di Creta, per poi diffonderli in altre zone del Mediterraneo, tra cui la Sicilia, oltreché nelle loro terre di origine.
Se oggi esistono grandi vini Malvasia o Malmsey, come sono chiamati nei paesi produttori di lingua inglese ( Sud Africa e California per esempio ) lo si deve senza dubbio alla potente e gloriosa Repubblica di Venezia che diffuse il vitigno fuori dalle sue secolari zone di origine ’’.
Signori è quasi ora di pranzo, tra dieci minuti ci accomodiamo in tavola – comunicò con aria affamata il signor Giuseppe.
Onestamente io avrei evitato anche il pasto pur di ‘‘ rubare ’’ tutta la preparazione enologica di Salvatore.
Per fortuna gli appetitosi aromi che arrivavano dalla cucina ci convinsero ad alzarci dal divano del salotto.
Nonostante l’ interruzione però, Salvatore in piena apnea vinicola continuò il suo racconto sul vino Malvasia, forse ‘‘ noioso ’’ per Cristina, Francesca e altri, ma decisamente afrodisiaco per me.
*
Il nobile vino delle Lipari, che viene prodotto nelle isole Lipari o Eolie, isole vulcaniche situate a Nord – Est della Sicilia, e del quale esistono tre varietà ( da pasto, da dessert, e una liquorosa da meditazione ), è uno dei più antichi di Sicilia.
Diodoro Siculo, scrittore latino del I º secolo a. C., descrive di un vitigno introdotto nelle isole Eolie dai Greci, forse la Malvasia stessa, anche se l’ ipotesi veneziana sembra che sia molto più attendibile.
A testimonianza comunque dell’ importanza assunta dalla produzione di vino già da allora nell’ Arcipelago, fu il ritrovamento di monete del 400 – 350 a. C. raffiguranti un grappolo d’ uva.
Sull’ origine del termine Malvasia esiste anche una antica leggenda cristiana che risale all’ epoca della dominazione musulmana.
Questa leggenda racconta di un povero contadino del luogo intento a portare un’ anfora di vino per il padre e il prete.
Lungo il cammino incontrò il tirannico governatore arabo dell’ isola che pretese di vedere che cosa avesse sotto il mantello.
Il contadino rispose che aveva solo un semplice succo di malva e, pregando Dio affinché trasformasse il vino in malva, lo invocò così : ‘‘ Malva sia ! ’’
E malva diventò, provocando il disgusto del tiranno nell’ assaggiare il contenuto dell’ anfora, brutalmente strappata con forza al contadino.
Nel 1890 il grande romanziere francese Guy de Maupassant così descrisse il vino Malvasia delle Lipari nella sua opera ‘‘ La vita errante ’’ : ‘‘ Sembra sciroppo di zolfo, è proprio il vino dei vulcani, denso, zuccherato, dorato, e con un tale sapore di zolfo che vi rimane al palato fino a sera ; il vino del diavolo ’’.
Fino agli anni Sessanta del secolo passato però la Malvasia delle Lipari era un vino commercializzato esclusivamente nel posto, non possedendo gli standard qualitativi per poter attrarre altri mercati.
Nel 1963 il designer milanese Carlo Hauner, in vacanza nelle isole, si innamorò di questi luoghi selvaggi e decise di acquistare una fattoria dove produrre del vino.
Dopo attente ricerche e numerosi tentativi riuscì a scoprire i segreti della Malvasia e a vinificarla con tecniche decisamente meno approssimative di quanto era avvenuto sino a quel momento.
A questa intraprendenza seguì un rapido successo, consacrato da altri produttori che cambiarono metodi e impianti di vinificazione, contribuendo alla valorizzazione del patrimonio vinicolo dell’ intero Arcipelago.
Oggi la Malvasia delle Lipari rappresenta una gemma preziosa per l’ enologia siciliana e, come tutte le cose preziose, rara ( la sua produzione si aggira intorno ai 350 – 400 ettolitri annui ).
Non bisogna però esigere che un vino da leggenda come questo, sia prodotto su scala industriale.
D.O.C. dal 1974, il disciplinare di produzione del vino delle Eolie prevede l’ utilizzo di uve Malvasia delle Lipari ( massimo 95 % ) completato da uve Corinto nero ( 5 – 8 % ).
Nelle sue varie tipologie la Malvasia delle Lipari presenta in generale un profumo romatico, ampio, caratteristico, con sentori di miele e albicocca, il sapore è caldo, pieno, dolce, squisitamente aromatico.
La varietà Dolce accompagna pasticceria secca e dolci farciti con crema o frutta, ma è ottima anche al fianco di formaggi erborinati e particolarmente saporiti.
Le varietà Passita o Dolce Naturale e la Liquorosa vanno proposte al termine di un pasto, in sostituzione dei distillati, o più semplicemente come vini da meditazione.
Mi correggo, come grandi vini da meditazione.
CARATTERISTICHE DELLA MALVASIA DELLE LIPARI
GRADAZIONE ALCOLICA : Malvasia Lipari Dolce 11,5 gradi Malvasia Lipari Passita 18
Rosato - rosa intenso tendente a un rubino chiaro
Rosso - rosso rubino che con l’ invecchiamento presenta leggeri riflessi granata
TEMPERATURA DI SERVIZIO - Bianco 8 – 10 gradi Bianco Superiore 10 Rosato 14 Rosso 16 – 18
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Alle 15,30 di quella domenica pomeriggio uscimmo da Taormina ben animati, per recarci in direzione di Vittoria, nella provincia di Ragusa.
Scendere fino a Catania fu relativamente rapido, ma il resto del cammino si rivelò più complicato.
Traffico intenso, strade non sempre agevoli, e qualche dubbio nel percorso, ci rubarono alcune decine di minuti preziosi.
Cosicché il nostro arrivo nella città, previsto per le 18,00, slittò alle 19,30.
Ma non ci perdemmo d’ animo.
Per questo mi recai immediatamente nel primo bar che incontrai dentro Vittoria e chiesi l’ elenco telefonico.
Cominciai a sfogliare velocemente le pagine fino ad arrivare al cognome di Gianbattista : ne erano presenti una dozzina, non con il nome del mio amico ma con uno che corrispondeva all’ indirizzo che conservavo da 14 anni.
Telefonai rapidamente.
Rispose la madre e dopo una mia presentazione mi disse, con la gentilezza siciliana che contraddistingue quelle genti, che Gianbattista si era sposato, che abitava in un altro quartiere della città, e che molto probabilmente a quell’ ora l’ avrei trovato in casa.
Ringraziai la signora e subito dopo provai a chiamare il nuovo numero che mi venne comunicato.
Fu lui personalmente che rispose.
Era sempre lo stesso, un incredibile e stretto dialetto siciliano che avevo perso l’ abitudine di ascoltare fin dai tempi di Bologna e che mi creò non pochi problemi in quei dieci minuti al telefono.
Mi riconobbe totalmente dopo un paio di minuti e il suo stupore fu enorme.
Mi chiese dove mi trovavo e mi raggiunse dopo una ventina di minuti.
Era più grassottello e con qualche capello in meno, ma la simpatia e la semplicità erano identiche a un tempo.
Superati gli abbracci iniziali, chiese : ‘‘ Avete già prenotato un albergo per passare la notte ? ’’
‘‘ Ancora no, lo volevo fare prima di contattarti se fossi arrivato prima in città, ma ora approfitto della tua presenza per farmene indicare qualcuno ’’.
Gianbattista prese il suo cellulare e telefonò ai suoi genitori chiedendogli di preparare la camera degli ospiti per le 9,30 di sera.
Guardai sbigottito la mia compagna.
Deciso in quello che stava facendo, il buon Gianbattista ci fece accomodare in un tavolo del bar per bere qualche cosa.
Tra una bibita e un’ altra parlammo per una buona mezz’ ora dei tempi nostalgici del periodo militare.
‘‘ Sempre appassionato di vini Giovanni ? ’’
‘‘ Più che mai, sono in Sicilia, anche per rafforzare la mia cultura sui vigneti e sui vini dell’ isola ’’.
‘‘ Benissimo, domani allora pranziamo insieme e invito un mio amico, grande conoscitore di tutto questo, perlomeno nell’ ambito della regione ’’.
Arrivati a quel punto ci dirigemmo verso la casa dei genitori di Gianbattista.
L’ imbarazzo mio e di Cristina fu cancellato dall’ incredibile ospitalità dei signori Giuseppe e Vera, padre e madre del mio ritrovato amico siciliano.
Alle 23,00 Gianbattista ci salutò dandoci appuntamento alla mattina seguente per una visita della città.
Egli lavorava in una industria metalmeccanica della zona, ma era in ferie ; la mia sorpresa quindi non lo costrinse a sconvolgere più di tanto il suo lunedì.
Tornò la mattina successiva con sua moglie Francesca e ci accompagnò nel centro della città.
Vittoria è una località relativamente nuova.
Fu fondata agli inizi del XVII º secolo da Vittoria Colonna, Contessa di Modica.
Presenta alcuni palazzi settecenteschi e belle chiese di stile neoclassico.
Gianbattista ci condusse in una rapida escursione anche sul litorale, distante se ricordo bene una dozzina di chilometri o poco più dal centro della città.
A mezzogiorno tornammo nella casa dei genitori.
Qui conobbi l’ invitato ed esperto enologo.
Salvatore, classico nome sicilano, era un esperto nel vero senso della parola.
Egli era un tecnico agrario nonché ampelografo e da studioso dei vini e dei vitigni, provò un grande piacere nell’ aver di fronte un umbro alla scoperta della vitivinicoltura siciliana.
Nonostante la sua giovane età ( 36 anni ) Salvatore era un pozzo di cultura senza fine.
Nel momento in cui Gianbattista ci fece accomodare nel bel salotto di casa, il tecnico agrario cominciò il suo attacco.
‘‘ Avete mai avuto occasione di bere del Faro messinese ? ’’
No purtroppo, era previsto ma il ritardo sulla tabella di marcia dovuto a problemi per l’ attraversamento dello Stretto ce lo ha impedito – risposi.
‘‘ Bene, come sapete la prima provincia che si incontra, entrando dalla Calabria, è quella di Messina.
Quello che forse non siete a conoscenza è che l’ antecedente dei vini del messinese fu il ‘‘ Mamertino ’’, un vino che inondò i banchetti di Giulio Cesare nei suoi festeggiamenti al trionfo del Terzo Consolato.
Oggi nonostante l’ estensione dei vigneti sia scesa dai 40.000 ettari della fine ‘800 ai circa 5.000 attuali ( calo dovuto principalmente alle devastazioni della fillossera negli inizi di questo secolo, ma anche a causa del terribile terremoto del 1908 ), la produzione dei vini di Messina è concentrata soprattutto tra quelli di qualità. *
Tra questi il protagonista indiscusso è il Faro, degno erede del Mamertino, una delle passioni vinicole di Giulio Cesare.
È prodotto in una zona che alla fine del XIX º secolo esportava grandi quantità di vino in Francia ( uno dei stati martoriati dalle epidemie crittogamiche ) per la produzione del Bordeaux e del Borgogna.
Da diversi anni la fama di questo eccellente rosso, ottimo sugli arrosti, è giunta sino negli Stati Uniti,
confermando un successo che dai Fenici è arrivato sino ai giorni nostri.
Restando sempre nella provincia di Messina, devo aggiungere però che se il Faro è il rosso più prestigioso, la sua fama è superata da quella della Malvasia delle Lipari.
Conosci questo vino Giovanni ? ’’
‘‘ Si Salvatore, l’ ho assaggiato in un corso di degustazione a Torgiano, proprio l’ anno scorso ’’.
E quale fu la tua impressione ? – chiese l’ ampelografo.
‘‘ Assolutamente unica, un vino vigoroso, dolce, molto aromatico, decisamente lungo in bocca.
Prima di uscire dalla Sicilia farò tutto il possibile per comprare minimo una bottiglia da far conoscere agli amici ’’.
Conosci la storia del vitigno e del legame che lo unisce a Venezia ? – domandò Salvatore.
‘‘ Solo vagamente, la diffusione della Malvasia nell’ intero Triveneto avvenne durante i tempi della Repubblica Lagunare, ma ulteriori dettagli non li conosco ’’.
Gianbattista entrò improvvisamente nella discussione : ‘‘ Calma gente, con questo caldo è bene bagnarci il becco di tanto in tanto ’’.
In quel momento arrivò la signora Vera con un vassoio contenente piccoli bicchierini a calice con gambo di colore marrone chiaro e una bottiglia di Marsala.
In attesa del pranzo godetevi questo aperitivo – disse la simpatica madre di Gianbattista.
L’ ampelografo prese il suo bicchierino di Marsala e si accomodò sul divano del salotto ; il caldo era veramente notevole, il ventilatore nel soffitto che funzionava a pieno ritmo concedeva a tutti noi un discontinuo ma prezioso refrigerio.
A quel punto il simpatico Salvatore riprese il suo racconto, sempre in un elegante dialetto siciliano che non creava particolari problemi di comprensione :
‘‘ La Malvasia ha origini antichissime, era presente già 30 secoli fa nella Grecia e nelle isole Egee dove ne è originaria.
Nonostante la qualità dei vini e vitigni Malvasia siano indiscusse già dall’ epoca degli antichi Ateniesi, l’ origine di tutti loro comunque è databile al XIII º secolo, quando cioè i Veneziani conquistata la città fortificata di Monembasia – da qui forse il nome Malvasia – nell’ estrema punta Meridionale del Peloponneso, scoprirono il vino assolutamente meraviglioso che vi veniva prodotto.
Il loro entusiasmo fu talmente grande che decisero di trapiantare alcuni vitigni nella vicina isola di Creta, per poi diffonderli in altre zone del Mediterraneo, tra cui la Sicilia, oltreché nelle loro terre di origine.
Se oggi esistono grandi vini Malvasia o Malmsey, come sono chiamati nei paesi produttori di lingua inglese ( Sud Africa e California per esempio ) lo si deve senza dubbio alla potente e gloriosa Repubblica di Venezia che diffuse il vitigno fuori dalle sue secolari zone di origine ’’.
Signori è quasi ora di pranzo, tra dieci minuti ci accomodiamo in tavola – comunicò con aria affamata il signor Giuseppe.
Onestamente io avrei evitato anche il pasto pur di ‘‘ rubare ’’ tutta la preparazione enologica di Salvatore.
Per fortuna gli appetitosi aromi che arrivavano dalla cucina ci convinsero ad alzarci dal divano del salotto.
Nonostante l’ interruzione però, Salvatore in piena apnea vinicola continuò il suo racconto sul vino Malvasia, forse ‘‘ noioso ’’ per Cristina, Francesca e altri, ma decisamente afrodisiaco per me.
*
Il nobile vino delle Lipari, che viene prodotto nelle isole Lipari o Eolie, isole vulcaniche situate a Nord – Est della Sicilia, e del quale esistono tre varietà ( da pasto, da dessert, e una liquorosa da meditazione ), è uno dei più antichi di Sicilia.
Diodoro Siculo, scrittore latino del I º secolo a. C., descrive di un vitigno introdotto nelle isole Eolie dai Greci, forse la Malvasia stessa, anche se l’ ipotesi veneziana sembra che sia molto più attendibile.
A testimonianza comunque dell’ importanza assunta dalla produzione di vino già da allora nell’ Arcipelago, fu il ritrovamento di monete del 400 – 350 a. C. raffiguranti un grappolo d’ uva.
Sull’ origine del termine Malvasia esiste anche una antica leggenda cristiana che risale all’ epoca della dominazione musulmana.
Questa leggenda racconta di un povero contadino del luogo intento a portare un’ anfora di vino per il padre e il prete.
Lungo il cammino incontrò il tirannico governatore arabo dell’ isola che pretese di vedere che cosa avesse sotto il mantello.
Il contadino rispose che aveva solo un semplice succo di malva e, pregando Dio affinché trasformasse il vino in malva, lo invocò così : ‘‘ Malva sia ! ’’
E malva diventò, provocando il disgusto del tiranno nell’ assaggiare il contenuto dell’ anfora, brutalmente strappata con forza al contadino.
Nel 1890 il grande romanziere francese Guy de Maupassant così descrisse il vino Malvasia delle Lipari nella sua opera ‘‘ La vita errante ’’ : ‘‘ Sembra sciroppo di zolfo, è proprio il vino dei vulcani, denso, zuccherato, dorato, e con un tale sapore di zolfo che vi rimane al palato fino a sera ; il vino del diavolo ’’.
Fino agli anni Sessanta del secolo passato però la Malvasia delle Lipari era un vino commercializzato esclusivamente nel posto, non possedendo gli standard qualitativi per poter attrarre altri mercati.
Nel 1963 il designer milanese Carlo Hauner, in vacanza nelle isole, si innamorò di questi luoghi selvaggi e decise di acquistare una fattoria dove produrre del vino.
Dopo attente ricerche e numerosi tentativi riuscì a scoprire i segreti della Malvasia e a vinificarla con tecniche decisamente meno approssimative di quanto era avvenuto sino a quel momento.
A questa intraprendenza seguì un rapido successo, consacrato da altri produttori che cambiarono metodi e impianti di vinificazione, contribuendo alla valorizzazione del patrimonio vinicolo dell’ intero Arcipelago.
Oggi la Malvasia delle Lipari rappresenta una gemma preziosa per l’ enologia siciliana e, come tutte le cose preziose, rara ( la sua produzione si aggira intorno ai 350 – 400 ettolitri annui ).
Non bisogna però esigere che un vino da leggenda come questo, sia prodotto su scala industriale.
D.O.C. dal 1974, il disciplinare di produzione del vino delle Eolie prevede l’ utilizzo di uve Malvasia delle Lipari ( massimo 95 % ) completato da uve Corinto nero ( 5 – 8 % ).
Nelle sue varie tipologie la Malvasia delle Lipari presenta in generale un profumo romatico, ampio, caratteristico, con sentori di miele e albicocca, il sapore è caldo, pieno, dolce, squisitamente aromatico.
La varietà Dolce accompagna pasticceria secca e dolci farciti con crema o frutta, ma è ottima anche al fianco di formaggi erborinati e particolarmente saporiti.
Le varietà Passita o Dolce Naturale e la Liquorosa vanno proposte al termine di un pasto, in sostituzione dei distillati, o più semplicemente come vini da meditazione.
Mi correggo, come grandi vini da meditazione.
CARATTERISTICHE DELLA MALVASIA DELLE LIPARI
GRADAZIONE ALCOLICA : Malvasia Lipari Dolce 11,5 gradi Malvasia Lipari Passita 18
Malvasia Lipari Liquorosa 20
COLORE : giallo dorato o ambrato
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Malvasia Lipari Dolce 10 gradi Malvasia Lipari Passita 10
COLORE : giallo dorato o ambrato
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Malvasia Lipari Dolce 10 gradi Malvasia Lipari Passita 10
Malvasia Passita Liquorosa 12
*
Tra una parola e l’ altra, tra un sorso di Marsala Fine e un altro, arrivarono le 13,30, l’ ora di accomodarci in tavola.
E qui l’ ineccepibile ospitalità siciliana superò se stessa.
La signora Vera, che fino a quel momento era rimasta sempre in disparte dalle varie discussioni, si rivelò una cuoca immensa conquistando le attenzioni e gli elogi di tutti i presenti : in quelle due ore e mezzo di pranzo passò davanti a me ogni sorta di ben di Dio, tutto preparato divinamente.
Degli incredibili spaghetti con Marsala e gorgonzola e penne al ragù come primi piatti ; fettine di manzo al pomodoro e oca arrosto come secondi ; broccoletti e funghi champignons come contorno ; pecorino siciliano ( passione del padre di Gianbattista ) come rifinitura.
Come molteplici furono le portate, altrettanto numerosi furono gli argomenti discussi, ma in un libro come questo non posso che limitarmi al vino.
Il protagonista di quel pranzo, a cominciare dalle penne al ragù, fu a giusta regola il principale vino di Vittoria : il Cerasuolo.
Il responsabile della scelta, Salvatore, ne comprò tre bottiglie, tutte dell’ annata ’92, ma di tre aziende vinicole differenti.
L’ orgoglio di Vittoria – affermò Giuseppe alzandosi dal tavolo con un bicchiere in mano – non posso non proporre un brindisi con la presenza di questo piccolo capolavoro siciliano.
Dopo il brindisi Salvatore riprese in mano il pallino della discussione.
‘‘ È un capolavoro nel vero senso della parola, è un grande vino da pasto, nelle annate più fortunate è adatto anche per un grandissimo invecchiamento : 20 – 25 ma anche 30 anni.
Senza dubbio è la D.O.C. più importante di tutta la provincia di Ragusa ’’.
‘‘ È vero Salvatore che è proprio in questo tratto di regione che cominciò l’ invasione siciliana della fillossera ? ’’
‘‘ Proprio così Giovanni, all’ inizio del ‘900, fu una vera e propria strage in tutta l’ isola e i primi focolai furono avvisati qui.
Molti contadini di quel periodo abbandonarono la vite passando ad altre colture considerate più sicure e remunerative.
Per fortuna la viticoltura locale ha recuperato negli anni una buona parte dei suoi terreni di vecchia appartenenza.
Ma cambiamo discorso ora, Giovanni come descriveresti questo vino in una degustazione professionale ? ’’
La domanda postami da un tecnico agrario, nonché ampelografo, nonché grande conoscitore di vini, mi pose in leggero imbarazzo, un imbarazzo ampliato dal silenzio e dagli sguardi rivolti a me di tutti i componenti in tavola.
Presi di nuovo il mio calice di Cerasuolo in mano e cominciai ad analizzarlo, prestando la massima attenzione nella risposta che Salvatore stava aspettando.
‘‘ Bellissimo colore rosso ciliegia, aroma molto vinoso, penetrante ma delicato, dal profumo si presenta anche come un vino di particolare forza alcolica ’’.
Lo assaporai e subito dopo comunicai le mie ulteriori impressioni.
‘‘ Il sapore è asciutto, pieno e armonico, corposo ma gradevolmente rotondo, caldo ’’.
‘‘ Perfetto Giovani, aggiungo caratteristico delle uve Frappato, ben equilibrato, e la qualità che più mi entusiasma : elegantemente robusto.
Non è semplice per un vino presentare nello stesso tempo un colore rosso affascinante, una grande classe aromatica e vigore.
Il Cerasuolo di Vittoria è per me un esempio unico ! ’’
Come sono composti gli uvaggi ? – chiesi.
‘‘ Uve Calabrese per un massimo del 60 %, Frappato minimo 40 %, ed eventuali aggiunte di uve Grosso nero e Nerello Mascalese non oltre il 10 %.
La gradazione alcolica è di 13 gradi ’’.
Arrivati a quel punto Gianbattista impose una pausa e tutti noi prestammo onore alle profumatissime pietanze.
Il pranzo terminò con i classici cannoli siciliani.
Mi perdonino i ristoranti siciliani dove li ho assaggiati, ma quelli fatti in casa dalla signora Vera li superava tutti.
Dolcissimi, cialda soffice, gustosissimi.
La madre di Gianbattista indovinò proprio tutto : dalla qualità della ricotta a quella delle ciliegie candite, dalla varietà di frutta ( arancia candita, uva passa, cedro candito, pistacchi ) alla finezza dello zucchero a velo.
Perfetti, si scioglievano in bocca, indimenticabili.
Ho comprato un vino speciale per abbinarli ai cannoli di mia moglie – comunicò a gran voce il padre di Gianbattista – non sono esperto come Giovanni e Totò ( come gli piaceva chiamare Salvatore ) ma sfido chiunque di voi a dirmi che ho sbagliato nell’ accompagnamento.
All’ arrivo della bottiglia Salvatore si alzò in piedi, applaudì entusiasta come se si trovasse in un teatro alla fine di un’ opera ben eseguita, e abbracciò il suo amico Giuseppe.
La curiosità imperversò rapidamente in me e Cristina : che cosa era quel liquido che scatenò il tranquillo ampelografo ?
La risposta arrivò subito dopo : Moscato di Pantelleria.
Lo conosci Giovanni ? – chiese Giuseppe.
Abbassai gli occhi e sorrisi, rialzai lo sguardo e risposi : ‘ La verità è che ne ho sentito parlare sporadicamente, appena in due o tre occasioni, ma sempre informazioni superficiali.
D’ altronde signor Giuseppe fino a questa meravigliosa giornata le mie conoscenze sui vini siciliani si limitavano al Marsala, al Regaleali, al Corvo e alla Malvasia delle Lipari.
Il resto era buio quasi completo ’’.
‘‘ Allora mi permetterai di …… ’’
Salvatore fece un tentativo per riconquistare l’ interesse collettivo ma la moglie di Gianbattista, fino a quel momento in quasi religioso silenzio, entrò nella discussione.
‘‘ Per l’ amore di Dio, che sia l’ ultimo, io sono quasi completamente astemia, ma a forza di sentir parlare di tanti vini diversi mi sento mezzo ubriacata ’’.
Promesso Francesca, è l’ ultimo, autorizzami a guadagnare qualche notizia su quest’ altra opera d’ arte enologica di quest’ isola e nessuno ti ‘‘ tormenterà ’’ più con i vini – dissi.
L’ autorizzazione fu concessa.
A quel punto Salvatore aveva nuovamente il terreno libero.
*
L’ isola di Pantelleria rappresenta la punta estrema Sud – Ovest dei territori appartenenti all’ Italia.
Di origine vulcanica, Pantelleria è più vicina alle coste africane della Tunisia ( 70 chilometri ) che a quelle italiane nelle prossimità di Mazara del Vallo ( 95 chilometri ).
Irradiata da un sole cocente quasi l’ anno intero, nell’ isola di Pantelleria le uve maturano intensamente.
L’ uva qui allevata prevalentemente è lo Zibibbo, una varietà del Moscato che in quest’ isola riesce a raggiungere una ineguagliabile concentrazione zuccherina e notevole ricchezza aromatica.
Predilige i terreni vulcanici ed è per questo che se coltivato nella vicina Sicilia, lo Zibibbo diventa irriconoscibile per la modesta qualità del vino prodotto.
Sul vino di Pantelleria si racconta la leggenda della Dea Tanit ( Dea dell’ amore e divinità fenicia ) che, invaghitasi del Dio della bellezza Apollo, voleva attirarne l’ attenzione.
Per raggiungere lo scopo chiese il parere di Venere, che le consigliò di salire sull’ Olimpo e di fingersi coppiera.
La Dea Tanit accettò il suggerimento e sostituì all’ ‘‘ ambrosia ’’, bevanda abituale degli Dei, il mosto delle uve di Pantelleria.
Il trucco riuscì perfettamente, e Apollo non solo notò Tanit ma se ne innamorò.
Da allora Pantelleria può vantarsi di aver sostituito il ‘‘ nettare degli Dei ’’ con il suo vino.
Per quanto riguarda l’ origine della viticoltura dell’ isola esistono alcune ipotesi.
Una di queste sostiene che Pantelleria fosse abitata da un antichissimo popolo, i Sesi, che forse coltivavano già il Moscato, successivamente denominato ‘‘ Zibib ’’ dagli Arabi.
Quando i Fenici sbarcarono nell’ isola alla ricerca dell’ ossidiana, la preziosa roccia eruttiva con la quale in quell’ epoca si ricavavano utensili di vario genere e armi, sterminarono i Sesi e continuarono la coltivazione dei vitigni esistenti.
Un’ altra ipotesi invece, afferma che furono proprio i Fenici a importare lo Zibibbo con il quale erano in grado di produrre il vino da utilizzare nelle cerimonie sacrificali dedicate alla Dea Tanit.
Questo celebre Moscato è quindi prodotto nell’ isola da alcuni millenni, ma solo nel 1833 cominciò a essere conosciuto fuori dai confini, affiancando il Marsala nei listini della casa vinicola Rallo, allora attivissima in tutti i più importanti mercati mondiali.
Il Moscato di Pantelleria incontrò ben presto grande successo in tutta la Sicilia, dove era ed è in uso la consuetudine di bere il vino Moscato il 13 aprile, in occasione della Festa di San Martino.
Premiato nel 1900 all’ Esposizione di Parigi, nel 1936 fu inserito tra i ‘‘ vini tipici italiani ’’ per il suo ‘‘ aroma fine e delicato e per il suo sapore dolce, vellutato, carezzevole e generoso ’’.
Nel 1971, terzo tra i vini siciliani, ottenne la D.O.C. .
Un riconoscimento decisamente meritato per questo grande e prestigioso vino da dessert, che idealmente rappresenta l’ intera Europa vinicola, in quei luoghi dove l’ orizzonte è dominato dai contorni caldi, imponenti e prossimi del gigantesco continente africano.
Prodotto con le uve Zibibbo, generalmente da vendemmie tardive, il Moscato di Pantelleria è distribuito in varie tipologie, utilizzando tecniche produttive diverse :
- Naturalmente Dolce con aggiunta alle uve di altre leggermente appassite ;
- Spumante ;
- Liquoroso con aggiunta di alcool etilico o acquavite di Moscato ;
- Passito con uve totalmente lasciate appassire sulla pianta o su dei graticci ;
- Passito Liquoroso prodotto con la stessa tecnica del Passito più aggiunta di alcool etilico o acquavite di Moscato ;
- Passito Liquoroso Extra con gradazione alcolica maggiore e un anno di invecchiamento.
Il Moscato di Pantelleria è un vino abbinabile ai più svariati dessert.
Nelle versioni tradizionali accompagna torte lievitate come il panettone, il pandoro, il pan di Spagna e i cannoli siciliani.
Lo Spumante a dolci con frutta o creme.
Le varietà Passito accompagnano dolci al cucchiaio come budini o creme caramel.
Sempre nelle varietà passite, il Moscato di Pantelleria è anche proponibile come vino da meditazione : uno dei più apprezzati d’ Italia.
CARATTERISTICHE DEL MOSCATO DI PANTELLERIA
GRADAZIONE ALCOLICA : Moscato di Pantelleria 12,5 gradi Naturale Dolce 17,5
Spumante 12,5 Liquoroso 21,5 Passito 14 Passito Liquoroso 21,5 Passito Liq. Extra 23,9
COLORE : giallo dorato più o meno intenso tendente all’ ambrato
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Varietà base 10 gradi Dolce 10 – 12 Spumante 6 – 8
*
Tra una parola e l’ altra, tra un sorso di Marsala Fine e un altro, arrivarono le 13,30, l’ ora di accomodarci in tavola.
E qui l’ ineccepibile ospitalità siciliana superò se stessa.
La signora Vera, che fino a quel momento era rimasta sempre in disparte dalle varie discussioni, si rivelò una cuoca immensa conquistando le attenzioni e gli elogi di tutti i presenti : in quelle due ore e mezzo di pranzo passò davanti a me ogni sorta di ben di Dio, tutto preparato divinamente.
Degli incredibili spaghetti con Marsala e gorgonzola e penne al ragù come primi piatti ; fettine di manzo al pomodoro e oca arrosto come secondi ; broccoletti e funghi champignons come contorno ; pecorino siciliano ( passione del padre di Gianbattista ) come rifinitura.
Come molteplici furono le portate, altrettanto numerosi furono gli argomenti discussi, ma in un libro come questo non posso che limitarmi al vino.
Il protagonista di quel pranzo, a cominciare dalle penne al ragù, fu a giusta regola il principale vino di Vittoria : il Cerasuolo.
Il responsabile della scelta, Salvatore, ne comprò tre bottiglie, tutte dell’ annata ’92, ma di tre aziende vinicole differenti.
L’ orgoglio di Vittoria – affermò Giuseppe alzandosi dal tavolo con un bicchiere in mano – non posso non proporre un brindisi con la presenza di questo piccolo capolavoro siciliano.
Dopo il brindisi Salvatore riprese in mano il pallino della discussione.
‘‘ È un capolavoro nel vero senso della parola, è un grande vino da pasto, nelle annate più fortunate è adatto anche per un grandissimo invecchiamento : 20 – 25 ma anche 30 anni.
Senza dubbio è la D.O.C. più importante di tutta la provincia di Ragusa ’’.
‘‘ È vero Salvatore che è proprio in questo tratto di regione che cominciò l’ invasione siciliana della fillossera ? ’’
‘‘ Proprio così Giovanni, all’ inizio del ‘900, fu una vera e propria strage in tutta l’ isola e i primi focolai furono avvisati qui.
Molti contadini di quel periodo abbandonarono la vite passando ad altre colture considerate più sicure e remunerative.
Per fortuna la viticoltura locale ha recuperato negli anni una buona parte dei suoi terreni di vecchia appartenenza.
Ma cambiamo discorso ora, Giovanni come descriveresti questo vino in una degustazione professionale ? ’’
La domanda postami da un tecnico agrario, nonché ampelografo, nonché grande conoscitore di vini, mi pose in leggero imbarazzo, un imbarazzo ampliato dal silenzio e dagli sguardi rivolti a me di tutti i componenti in tavola.
Presi di nuovo il mio calice di Cerasuolo in mano e cominciai ad analizzarlo, prestando la massima attenzione nella risposta che Salvatore stava aspettando.
‘‘ Bellissimo colore rosso ciliegia, aroma molto vinoso, penetrante ma delicato, dal profumo si presenta anche come un vino di particolare forza alcolica ’’.
Lo assaporai e subito dopo comunicai le mie ulteriori impressioni.
‘‘ Il sapore è asciutto, pieno e armonico, corposo ma gradevolmente rotondo, caldo ’’.
‘‘ Perfetto Giovani, aggiungo caratteristico delle uve Frappato, ben equilibrato, e la qualità che più mi entusiasma : elegantemente robusto.
Non è semplice per un vino presentare nello stesso tempo un colore rosso affascinante, una grande classe aromatica e vigore.
Il Cerasuolo di Vittoria è per me un esempio unico ! ’’
Come sono composti gli uvaggi ? – chiesi.
‘‘ Uve Calabrese per un massimo del 60 %, Frappato minimo 40 %, ed eventuali aggiunte di uve Grosso nero e Nerello Mascalese non oltre il 10 %.
La gradazione alcolica è di 13 gradi ’’.
Arrivati a quel punto Gianbattista impose una pausa e tutti noi prestammo onore alle profumatissime pietanze.
Il pranzo terminò con i classici cannoli siciliani.
Mi perdonino i ristoranti siciliani dove li ho assaggiati, ma quelli fatti in casa dalla signora Vera li superava tutti.
Dolcissimi, cialda soffice, gustosissimi.
La madre di Gianbattista indovinò proprio tutto : dalla qualità della ricotta a quella delle ciliegie candite, dalla varietà di frutta ( arancia candita, uva passa, cedro candito, pistacchi ) alla finezza dello zucchero a velo.
Perfetti, si scioglievano in bocca, indimenticabili.
Ho comprato un vino speciale per abbinarli ai cannoli di mia moglie – comunicò a gran voce il padre di Gianbattista – non sono esperto come Giovanni e Totò ( come gli piaceva chiamare Salvatore ) ma sfido chiunque di voi a dirmi che ho sbagliato nell’ accompagnamento.
All’ arrivo della bottiglia Salvatore si alzò in piedi, applaudì entusiasta come se si trovasse in un teatro alla fine di un’ opera ben eseguita, e abbracciò il suo amico Giuseppe.
La curiosità imperversò rapidamente in me e Cristina : che cosa era quel liquido che scatenò il tranquillo ampelografo ?
La risposta arrivò subito dopo : Moscato di Pantelleria.
Lo conosci Giovanni ? – chiese Giuseppe.
Abbassai gli occhi e sorrisi, rialzai lo sguardo e risposi : ‘ La verità è che ne ho sentito parlare sporadicamente, appena in due o tre occasioni, ma sempre informazioni superficiali.
D’ altronde signor Giuseppe fino a questa meravigliosa giornata le mie conoscenze sui vini siciliani si limitavano al Marsala, al Regaleali, al Corvo e alla Malvasia delle Lipari.
Il resto era buio quasi completo ’’.
‘‘ Allora mi permetterai di …… ’’
Salvatore fece un tentativo per riconquistare l’ interesse collettivo ma la moglie di Gianbattista, fino a quel momento in quasi religioso silenzio, entrò nella discussione.
‘‘ Per l’ amore di Dio, che sia l’ ultimo, io sono quasi completamente astemia, ma a forza di sentir parlare di tanti vini diversi mi sento mezzo ubriacata ’’.
Promesso Francesca, è l’ ultimo, autorizzami a guadagnare qualche notizia su quest’ altra opera d’ arte enologica di quest’ isola e nessuno ti ‘‘ tormenterà ’’ più con i vini – dissi.
L’ autorizzazione fu concessa.
A quel punto Salvatore aveva nuovamente il terreno libero.
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L’ isola di Pantelleria rappresenta la punta estrema Sud – Ovest dei territori appartenenti all’ Italia.
Di origine vulcanica, Pantelleria è più vicina alle coste africane della Tunisia ( 70 chilometri ) che a quelle italiane nelle prossimità di Mazara del Vallo ( 95 chilometri ).
Irradiata da un sole cocente quasi l’ anno intero, nell’ isola di Pantelleria le uve maturano intensamente.
L’ uva qui allevata prevalentemente è lo Zibibbo, una varietà del Moscato che in quest’ isola riesce a raggiungere una ineguagliabile concentrazione zuccherina e notevole ricchezza aromatica.
Predilige i terreni vulcanici ed è per questo che se coltivato nella vicina Sicilia, lo Zibibbo diventa irriconoscibile per la modesta qualità del vino prodotto.
Sul vino di Pantelleria si racconta la leggenda della Dea Tanit ( Dea dell’ amore e divinità fenicia ) che, invaghitasi del Dio della bellezza Apollo, voleva attirarne l’ attenzione.
Per raggiungere lo scopo chiese il parere di Venere, che le consigliò di salire sull’ Olimpo e di fingersi coppiera.
La Dea Tanit accettò il suggerimento e sostituì all’ ‘‘ ambrosia ’’, bevanda abituale degli Dei, il mosto delle uve di Pantelleria.
Il trucco riuscì perfettamente, e Apollo non solo notò Tanit ma se ne innamorò.
Da allora Pantelleria può vantarsi di aver sostituito il ‘‘ nettare degli Dei ’’ con il suo vino.
Per quanto riguarda l’ origine della viticoltura dell’ isola esistono alcune ipotesi.
Una di queste sostiene che Pantelleria fosse abitata da un antichissimo popolo, i Sesi, che forse coltivavano già il Moscato, successivamente denominato ‘‘ Zibib ’’ dagli Arabi.
Quando i Fenici sbarcarono nell’ isola alla ricerca dell’ ossidiana, la preziosa roccia eruttiva con la quale in quell’ epoca si ricavavano utensili di vario genere e armi, sterminarono i Sesi e continuarono la coltivazione dei vitigni esistenti.
Un’ altra ipotesi invece, afferma che furono proprio i Fenici a importare lo Zibibbo con il quale erano in grado di produrre il vino da utilizzare nelle cerimonie sacrificali dedicate alla Dea Tanit.
Questo celebre Moscato è quindi prodotto nell’ isola da alcuni millenni, ma solo nel 1833 cominciò a essere conosciuto fuori dai confini, affiancando il Marsala nei listini della casa vinicola Rallo, allora attivissima in tutti i più importanti mercati mondiali.
Il Moscato di Pantelleria incontrò ben presto grande successo in tutta la Sicilia, dove era ed è in uso la consuetudine di bere il vino Moscato il 13 aprile, in occasione della Festa di San Martino.
Premiato nel 1900 all’ Esposizione di Parigi, nel 1936 fu inserito tra i ‘‘ vini tipici italiani ’’ per il suo ‘‘ aroma fine e delicato e per il suo sapore dolce, vellutato, carezzevole e generoso ’’.
Nel 1971, terzo tra i vini siciliani, ottenne la D.O.C. .
Un riconoscimento decisamente meritato per questo grande e prestigioso vino da dessert, che idealmente rappresenta l’ intera Europa vinicola, in quei luoghi dove l’ orizzonte è dominato dai contorni caldi, imponenti e prossimi del gigantesco continente africano.
Prodotto con le uve Zibibbo, generalmente da vendemmie tardive, il Moscato di Pantelleria è distribuito in varie tipologie, utilizzando tecniche produttive diverse :
- Naturalmente Dolce con aggiunta alle uve di altre leggermente appassite ;
- Spumante ;
- Liquoroso con aggiunta di alcool etilico o acquavite di Moscato ;
- Passito con uve totalmente lasciate appassire sulla pianta o su dei graticci ;
- Passito Liquoroso prodotto con la stessa tecnica del Passito più aggiunta di alcool etilico o acquavite di Moscato ;
- Passito Liquoroso Extra con gradazione alcolica maggiore e un anno di invecchiamento.
Il Moscato di Pantelleria è un vino abbinabile ai più svariati dessert.
Nelle versioni tradizionali accompagna torte lievitate come il panettone, il pandoro, il pan di Spagna e i cannoli siciliani.
Lo Spumante a dolci con frutta o creme.
Le varietà Passito accompagnano dolci al cucchiaio come budini o creme caramel.
Sempre nelle varietà passite, il Moscato di Pantelleria è anche proponibile come vino da meditazione : uno dei più apprezzati d’ Italia.
CARATTERISTICHE DEL MOSCATO DI PANTELLERIA
GRADAZIONE ALCOLICA : Moscato di Pantelleria 12,5 gradi Naturale Dolce 17,5
Spumante 12,5 Liquoroso 21,5 Passito 14 Passito Liquoroso 21,5 Passito Liq. Extra 23,9
COLORE : giallo dorato più o meno intenso tendente all’ ambrato
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Varietà base 10 gradi Dolce 10 – 12 Spumante 6 – 8
Passiti 12 – 14 Liquorosi 12 – 14
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Dopo oltre quattro ore ci alzammo dalla tavola stupefacemente soddisfatti nello stomaco e nella mente.
Fui però costretto a mutare il programma della giornata.
L’ idea era di stare nel tardo pomeriggio di quel lunedì ad Agrigento, ma erano le 18,00 e ancora ci trovavamo a Vittoria, distante quasi due ore di auto.
Oltretutto le mie condizioni fisiche, come quelle di Cristina peraltro, dopo un pranzo di quelle dimensioni, non erano le migliori per sopportare una nuova tappa, per giunta in mezzo a una calura fondente.
Chi ci salvò fu il buon Gianbattista.
‘‘ No Giovanni, per questa notte restate qui.
Domani mattina, presto se ritenete necessario ma freschi e riposati, andate ad Agrigento ’’.
E così facemmo.
Uscì solamente un poco la sera con Cristina a comprare dei regali per Gianbattista e la simpatica e ‘‘sicilianamente’’ ospitale coppia di genitori.
Quella sera stessa salutammo Francesca e il mio buon ex-compagno d’ armi, invitandoli in Umbria per potergli restituire perlomeno una parte di tutto quello che di buono fecero per noi.
‘‘ Ciao Gianbattista, grazie di tutto, prima di uscire dalla Sicilia ti telefono di nuovo per ricordarti che ti aspetto a Perugia, te e tutta la tua bella famiglia ’’.
Con queste parole lo lasciai, fino ad oggi purtroppo il mio debito morale con lui ancora esiste perché non abbiamo più avuto occasione di rivederci.
E Salvatore ?
Il mitico ‘‘ vinologo ’’ si commiatò poco dopo il pranzo.
Prima di andarsene però mi chiese il mio numero di cellulare e il percorso che avrei fatto al ritorno.
‘‘ Ancora non lo so Salvatore, mi piacerebbe passare ai piedi dell’ Etna e a Catania, ma dipenderà dal tempo che avremo a disposizione ’’.
‘‘ Non vi prometto nulla Giovanni, ma se riesco a organizzare una sorpresa, ti chiamo e ti inviterò a fare una deviazione sul tuo programma.
Forse vi ruberò una mezza giornata, ma vi assicuro che ne vale veramente la pena.
Va bene ? ’’
È una sorpresa enologica ? – chiesi, mordendomi le labbra per la curiosità.
‘‘ Sempre ammesso che sia possibile, si ! ’’
‘‘ Va bene Salvatore, aspetto una tua chiamata allora ’’.
La mattina seguente ci dirigemmo in direzione di Agrigento costeggiando il litorale di Gela e Licata.
Arrivammo nel capoluogo intorno alle 11,00.
Passeggiare nella superba Valle dei Templi significa regalarsi un balzo nel passato di 25 secoli fa, fuori dalla realtà.
Quelle colonne emanano un profumo di storia inebriante che abbinato alle bellezze dei luoghi, fanno del momento una esperienza emozionale che resta prigioniera dentro di noi.
Il tempo passò rapido al punto che quando ci svegliammo dall’ ipnosi ellenica erano quasi le 14,00.
L’ idea di recarci in un ristorante neanche sfiorò le nostre menti.
Avevamo a disposizione del pane siciliano, una piccola forma di pecorino siciliano, e una dozzina di cannoli, il tutto regalatoci dalla famiglia di Gianbattista.
Con una giornata culinaria come quella precedente decidemmo di concedere un giorno di riposo ai nostri affaticati stomaci.
Dalla ‘‘ Valle dei Templi ’’ passammo al centro della città per una rapida visita ; successivamente scendemmo un poco sul litorale agrigentino, poco lontano.
La giornata era assolata ma la temperatura era un poco più fresca di quella delle due precedenti.
Con gli sguardi rivolti al Mar Mediterraneo, un gradevole venticello marino era spezzato di tanto in tanto da folate di caldo vaporoso.
‘‘ È il vento che proviene dal Sahara, l’ Africa è qui di fronte a noi Cristina.
A Sud, più o meno in questa direzione a 160 / 170 chilometri si trovano le isole Pelagie con Linosa e Lampedusa, amministrate dalla Provincia di Agrigento ‘’.
Tra un argomento e l’ altro, nel bel mezzo del dialogo, riafforò il vino, ma non fu per colpa mia, semmai della mia compagna.
Qual’ è il vino tipico di questo tratto della regione ? – chiese la nuova aspirante a enologa.
Non perdetti l’ occasione, fu lei che creò l’ opportunità.
*
Nella Sicilia Centro – Occidentale, tra le province di Agrigento e Caltanissetta, in un territorio assolato quasi tutto l’ anno, si trova la tenuta di Regaleali.
Nella prima metà del XIX º secolo questa tenuta era un feudo che si sviluppava su circa 1.200 ettari di terreno collinare, dei quali una trentina erano occupati dai vigneti.
Questi erano racchiusi con dei muri di cinta chiamati ‘‘ girato ’’, corrispondenti ai ‘‘ clos ’’ francesi, ossia fondo protetto da mura.
La grande maggioranza di questi feudi erano poco produttivi soprattutto per l’ incompetenza dei baroni che li gestivano.
Il feudo di Regaleali, divenuto di proprietà della famiglia Tasca nel 1834, rappresentò una eccezione.
Luigi Tasca barone di Regaleali e suo nipote Lucio Tasca conte d’ Almerita diedero vita a numerosi vini rossi, rosati e bianchi di pregio elevato.
Utilizzando sia vitigni autoctoni che vitigni importati da altri paesi, i vini di Regaleali hanno delle caratteristiche uniche.
Non sono comparabili né a quelli vinificati al Nord, né a quelli tipici del Sud Italia.
Ciò è possibile perché le uve destinate alla loro produzione sono allevate a una altitudine compresa tra i 450 e i 700 metri ; a queste si aggiungono altre uve acquistate provenienti da vigneti posti sino a 850 metri di altezza.
I vini di Regaleali hanno pertanto il calore caratteristico dei vini del Meridione italiano, perché beneficiano di un intenso irraggiamento solare ; oltre a questo le elevate altitudini danno luogo a sensibili escursioni termiche tra il giorno e la notte, conferendo ai vini una ricchezza aromatica più simile a molti vini del Nord.
Oggi l’ azienda Regaleali ha una estensione di 460 ettari di vigneti reimpiantati negli anni ’50 in sostituzione ai vecchi non più produttivi.
Ai tipici vitigni locali come l’ Inzolia, il Catarratto, il Nero d’ Avola, il Perricone e altri, sono stati affiancati alcuni francesi ( Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Nero ), iniziando così la modernizzazione delle cantine di oggi dove si producono sia vini ‘‘ tradizionali ’’ che vini a base di vitigni importati.
Nascono così tra gli altri il Regaleali rosso, il Regaleali bianco, e il Regaleali Chardonnay.
Il Bianco è un vino con aroma molto fruttato di mela e di banana, il sapore è ricco, morbido, fruttato.
Accompagna varie preparazioni, anche saporite, a base di pesce e verdure.
Lo Chardonnay, invecchiato 18 mesi, nove dei quali in botti di rovere, ha un aroma caratteristico, pieno, intenso e floreale, il sapore è asciutto, delicato, con note vanigliate conferite dal legno delle botti.
Per gli abbinamenti a tavola valgono le stesse regole del Bianco, a condizione però che le preparazioni siano delicate.
Il Rosso è un vino con profumo delicatamente floreale, molto fragrante, il sapore è equilibrato, con note fruttate, piacevolmente armonico.
La varietà Regaleali rosso accompagna egregiamente grandi piatti di carni rosse sia grigliate che arrostite, eccellente con formaggi a pasta dura e stagionati e, quando invecchiato, può essere proposto anche al fianco di preparazioni con selvaggina di pelo.
CARATTERISTICHE DEL REGALEALI
GRADAZIONE ALCOLICA : Bianco 12 gradi Chardonnay 11,5 Rosso 12,5
COLORE : Bianco - giallo paglierino con riflessi verdini Chardonnay – giallo paglierino intenso
Rosso - rosso rubino vivace con sfumature granate
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Bianco 10 – 12 gradi Chardonnay 10 – 12 Rosso 18
*
Alle 16,45 riprendemmo l’ auto e continuammo il nostro viaggio.
Il prossimo obiettivo era Marsala.
Con la massima tranquillità, godendoci il litorale Sud della Sicilia, arrivammo nella città alle 19,15.
Avevamo a disposizione tutto il tempo sufficiente per trovare una sistemazione per la notte e visitare un poco la città.
Collocata nella estremità Ovest della Sicilia, Marsala ci regalò un tramonto marino rosso porpora chiaro, bellissimo.
Seduti in un bar del litorale marsalese, io e Cristina facemmo un riassunto di quei primi quattro giorni di vacanza.
La nostra rilassante conversazione era accompagnata da un bel piatto di ceramica con quattro divisori, ognuno dei quali conteneva una frutta secca diversa ( pistacchi, arachidi, nocciole e mandorle ), e …………… una elegante bottiglietta di Marsala di 500 millilitri.
‘‘ Giovanni, vorrei farti una domanda su questa bottiglia, mi prometti però che non ti dilungherai nella risposta tra le ‘‘ dieci ’’ e le ‘‘ quindici ’’ ore, e che rientreremo presto in albergo ?
Sono semplicemente stanchissima, voglio dire ……a pezzi ! ’’
Dopo un largo sorriso risposi : ‘‘ Tranquilla, anche se sono abbastanza informato sui vini di Marsala giuro che non ti tratterrò per molto tempo, la stanchezza è forte anche dalla mia parte ’’.
In questa bottiglia c’ è scritto ‘‘ Metodo Solera ’’, che significa ? – la domanda di Cristina.
Gli spiegai sinteticamente ( per modo di dire perché durai più di un' ora ) il significato, ma prima feci un largo giro di tutte le mie conoscenze sul vino Marsala, scaricandole con la massima vivacità possibile del momento alla mia assonnata compagna.
Quando i Greci colonizzarono le regioni del Mediterraneo, diffusero le loro tecniche di coltivazione, tra le quali quella della vite allevata a piccoli alberelli.
Potata con questo sistema, la chioma della pianta ombreggia il proprio piede, specialmente nelle ore più calde con il sole a picco, proteggendolo dal calore eccessivo.
Nello stesso tempo la breve distanza che separa il grappolo dal terreno garantisce il calore necessario alle uve per una buona maturazione.
Queste, ricche di zuccheri, dopo la raccolta spesso vengono fatte essiccare e alcuni vini ottenuti vengono addirittura corretti con sostanze dolcificanti o con dei distillati.
Tutto questo è il filo che unisce tra i più grandi vini liquorosi del mondo prodotti intorno al 40 º parallelo, come il Madeira, il Porto, lo Xérès o Sherry, il Malaga, il Commandaria dell’ isola di Cipro, e il Marsala.
Gli albori della civiltà vinicola marsalese risalgono all’ epoca della dominazione fenicia ( VIII – VI º sec. a. C. ) ; nel periodo greco Marsala ebbe notevole importanza, infatti nel III º sec. a. C. il suo porto era l’ emporio vinicolo più importante di tutto il Mediterraneo.
Non si hanno documenti che attestino lo stato della vitivinicoltura marsalese nell’ epoca romana e nei secoli successivi, ma i vini prodotti nel 1770 dovevano essere di gran pregio, se il mercante inglese John Woodhouse, grande estimatore dei vini spagnoli e portoghesi, approdato a Marsala per acquistare mandorle, fu tanto colpito dal vino locale al punto di acquistarne 20.000 litri da spedire in Inghilterra.
Alcuni sostengono che Woodhouse aggiunse acquavite al Marsala spedito per conservarlo durante il trasporto, inventando così involontariamente la formula.
Altri rispondono invece che il vino era già trasportabile in quanto nel 1600 il pittore Rubens lo portò con se ad Anversa nel Belgio.
Quest’ ultima ipotesi sosterrebbe che l’ inglese Woodhouse scoprì un vino già completo.
Resta il fatto comunque che quell’ anno 1770 contrassegnò l’ atto di nascita del Marsala ( così denominato dallo stesso Woodhouse ).
Il successo dell’ iniziativa fu tale che nel 1796 Woodhouse, tornato nell’ isola siciliana, vi costruì uno stabilimento vinicolo e diede inizio, con la collaborazione di suo fratello, a una propria produzione.
In un solo anno i fratelli Woodhouse inviarono in Inghilterra ben 200.000 litri.
Alla diffusione del Marsala in Londra e dintorni contribuì anche la flotta dell’ Ammiraglio Nelson che nel 1798 ne acquistò un grosso quantitativo e lo definì ‘‘ vino degno della mensa di qualsiasi gentiluomo ’’.
Tutto questo successo attirò l’ attenzione di un altro inglese, Benjamin Ingham, il quale segnò profondamente la storia delle origini del Marsala.
Costruito nel 1812 uno stabilimento nelle prossimità di quello dei connazionali Woodhouse, fu Ingham a dare a questo vino fama mondiale, esportandolo fino in Australia.
Al calabrese Vincenzo Florio, soprannominato ‘‘ il padre del commercio siciliano ’’, si deve la stesura di un altro capitolo fondamentale della storia del Marsala.
Nel 1832 Florio impiantò, nel bel mezzo dei due inglesi, la sua azienda, occupante sul litorale un fronte di circa un chilometro.
Nacque così il primo stabilimento vinicolo italiano di tipo industriale.
In 20 anni Florio, che era anche proprietario di una ditta di piroscafi a vapore, grazie a mezzi, organizzazione e intraprendenza, riuscì a strappare ai rivali inglesi molti dei mercati da loro conquistati e divenne il leader del commercio di Marsala.
Ai successi che accompagnarono questo celebre vino per tutto il XIX º secolo seguì un periodo di lento declino contraddistinto da una parte per una produzione eccessiva in relazione alle capacità di assorbimento del mercato, e dall’ altra il decadimento dell’ immagine come accade quasi inevitabilmente per vini ( e non solo vini ) di grande successo, che svegliano l’ interesse di molti speculatori dando vita a produzioni scadenti se non pessime, nella totale assenza di leggi a tutela dei prodotti di qualità.
I propositi di rilancio dei produttori del Marsala si sono concretizzati nel 1984, con la promulgazione di un rigido disciplinare, che ne ha reso più severa la tecnica di produzione, restituendo al vino la qualità e il prestigio dei secoli precedenti.
Il Marsala viene prodotto nei colori :
- Ambra ( giallo ambrato ) ;
- Oro ( giallo dorato ) ;
- Rubino ( rosso rubino con riflessi ambrati quando invecchiato ).
Nelle sue diverse versioni, questo vino siciliano è senza dubbio in ogni caso di ecellente qualità e di notevole longevità.
Le tecniche di vinificazione sono diverse e complesse ; variano a seconda del tipo di Marsala che si vuole ottenere.
In alcune produzioni, al vino viene aggiunta una miscela chiamata ‘‘ concia ’’ formata da mosto fresco, mosto cotto che risulta caramellizzato, mosto concentrato ( disidratato ), e alcool etilico che contribuisce a innalzare il tasso alcolico.
Nelle produzioni più pregiate del Marsala, cioè quelle sottoposte a lungo invecchiamento, viene adottato il ‘‘ Metodo Solera’’.
Da una botte viene estratto il vino da imbottigliare che corrisponde a circa un terzo del volume totale del contenitore.
La botte viene colmata da un vino di un anno più giovane estratto da un’ altra botte, e così via per alcune botti sempre con un vino di un anno più giovane del precedente.
Al termine di questo ciclo di travasi si arriverà alla botte contenente il vino della vendemmia precedente, che verrà colmata con il vino dell’ ultima raccolta.
Questo sistema permette che vini di diverse annate vengano mescolati ripetutamente, favorendo lo sviluppo dei più giovani che di fatto vengono assorbiti da quelli più vecchi.
La zona di produzione comprende l’ intera provincia di Trapani con l’ esclusione dei comuni di Alcamo, Pantelleria e Favignana.
Sono da considerarsi idonei unicamente i vigneti in coltura specializzata che usufruiscono delle condizioni di terreno e di clima atte ad assicurare alle uve, ai mosti e ai vini da essi ottenuti, le tradizionali caratteristiche di qualità.
Il Marsala presenta un odore molto ampio, intenso, con aromi di miele, uva passa e mandorla.
Il sapore è corposo, ricco, con fondo amarognolo ; può essere secco, semisecco o dolce, a seconda delle produzioni.
I vitigni che partecipano agli uvaggi del Marsala sono il Grillo, il Catarratto, l’ Inzolia e il Damaschino per le versioni Oro e Ambra ;
il Perricone, il Nero d’ Avola, il Nerello Mascalese e le uve a bacca bianca elencate nelle precedenti due varietà con una misura massima del 30 % per la tipologia Rubino.
Secondo il tasso zuccherino presente questo vino si distingue in :
- Secco ( zuccheri 40 grammi per litro ) ;
- Semisecco ( tra 40 e 100 grammi per litro ) ;
- Dolce ( oltre 100 grammi per litro )
Questa invece è la classificazione ufficiale del Marsala di oggi :
- FINE : gradazione di 18 gradi, invecchiamento di un anno, vinificato con l’ 1 % di mosto cotto ;
- SUPERIORE : gradazione di 18 gradi, invecchiamento di due anni, vinificato con l’ 1 % di mosto cotto ;
- SUPERIORE RISERVA : gradazione di 18 gradi, invecchiamento 4 anni, vinificato con l’ 1 % di mosto cotto ;
- VERGINE E/O SOLERA : gradazione di 18 gradi, invecchiamento 5 anni, nessuna aggiunta nella vinificazione ;
- VERGINE E/O SOLERA STRAVECCHIO O VERGINE E/O SOLERA RISERVA : gradazione di 18 gradi, invecchiamento 10 anni, nessuna aggiunta nella vinificazione ;
Esistono anche delle varietà speciali come il G.D. ( Garibaldi Dolce ), L.P. ( London Particolar ) e
S.O.M. ( Superior Old Marsala ) riservate al Marsala Superiore.
La varietà speciale I.P. ( Italia Particolare ) è per il Marsala Fine.
Una ultima interessante varietà è il Cremovo Vino Aromatizzato, ottenuto con l’ 80 % di vino Marsala e aggiunta di uova, gradazione alcolica di 16 gradi, tasso zuccherino di 200 grammi per litro, e invecchiamento di 4 mesi.
Come orientarsi negli abbinamenti di tante varietà, con caratteristiche organolettiche, tasso alcolico, e periodo di invecchiamento diverse tra loro ?
Ognuna di loro è senz’ altro ottima come aperitivo proposto a 10 gradi di temperatura e come vino fuori pasto o da meditazione tra i 6 e gli 8 gradi di temperatura.
Per abbinamenti più specifici orientatevi così :
- le versioni secche con arachidi, noci, nocciole, e frutta secca in generale ;
- quelle semisecche con formaggi erborinati, formaggi saporiti di lunga stagionatura e torte di frutta ;
- le dolci possono accompagnare torte lievitate e torte con creme, dolci al cucchiaio e dolci al cioccolato ;
- le varietà molto invecchiate meritano essere degustate esclusivamente come vini da meditazione, da soli o in compagnia, alla fine di una serata e lontano dai pasti.
*
Alle 11,00 di sera rientrammo in albergo.
La mattina successiva, per la prima volta non di buon orario, ma ben riposati, riprendemmo il nostro mezzo e andammo in direzione di Erice.
Cristina conosceva molto bene la piccola località balneare.
Vi aveva passato con la sua famiglia due vacanze di quindici giorni ciascuna negli ultimi due anni, e in considerazione del fatto che me ne parlava continuamente, la collocai tra le tappe d’ obbligo di quella vacanza.
Devo ammettere che quei due giorni di Erice valsero veramente la pena, perché la cittadina offre molte diversioni ed è un incanto.
Situata ai piedi del monte omonimo, Erice è probabilmente uno dei centri turistici di mare meglio organizzati di tutta la Sicilia, forse di tutta l’ Italia Meridionale.
Grazie alla sua splendida posizione panoramica, in questi ultimi decenni la crescita degli stabilimenti balneari ha fatto passi da gigante.
La stessa mia compagna ammise che la trovava più grande, più bella e più vivace rispetto alla prima volta che vi ci arrivò, appena due anni prima.
Passammo tra mare e sole le intere giornate di mercoledì e giovedì.
Colazione in albergo, ristorante sulla riva del mare con portate esclusivamente a base di pesce, e sera in discoteca.
Due giorni difficilmente descrivibili : fantastica parentesi all’ interno di una altrettanta fantastica vacanza siciliana.
E il vino ? Due giorni da astemi ?
No, chiaro !
Tutti i giorni perlomeno un pochino, preferibilmente con un pasto e mai nell’ imminenza di una tappa automobilistica.
La colonna sonora vinicola di quei due giorni di Erice fu suonata interamente dal ‘‘ maestro ’’ Bianco di Alcamo, un eccellente vino trapanese da pasto.
Una sera, prima di immergerci nella musica dance, io e Cristina lo sperimentammo in una pizzeria.
Il suggerimento ci venne dato da un simpatico ‘‘ vecchietto ’’ proprietario di una baracca di frutta nella spiaggia.
Lo affiancammo a una pizza con vongole, cannolicchi, gamberi e calamaretti : risultato 10 e lode.
L’ abbinamento quasi scontato di una pizza prevede al suo fianco una birra o una delle tante bibite disponibili nel mercato.
Ma da quell’ agosto del ’94 sempre più frequentemente l’ ho ‘‘ azzardata ’’ con una bottiglia di vino.
Scelte in alcuni casi che avrebbero fatto rabbrividire qualsiasi sommelier di professione, ma in altri si rivelarono delle felici scoperte.
Conoscendone l’ importanza, in due gorni non mi fu difficile ‘‘ tormentare ’’ persone più esperte di me, dell’ albergo, del ristorante, o semplicemente nuove amicizie della spiaggia, per raggranellare nuove informazioni su uno dei bianchi da pesce più noti di Sicilia.
*
Il comune di Alcamo appartiene amministrativamente a Trapani, una provincia che con i suoi 85.000 ettari di vigneti, rappresenta l’ aria più vitata d’ Italia.
Questa zona è caratterizzata da suoli bruni, quasi argillosi, generalmente fertili, ma anche quando non lo sono sufficientemente, e la cosa non è rara, l’ ingegno dei viticoltori locali ha superato ogni ostacolo mettendo a punto una tecnica agronomica che, sedimentata nel corso dei secoli, costituisce oggi un capitolo essenziale della cultura e della storia del popolo trapanese.
Il terreno del vigneto viene lavorato meccanicamente decine di volte, con cura addirittura esasperata, poi viene rotto attorno ala ceppo con le mani e sminuzzato per far ‘‘ respirare ’’ le radici.
Nei dintorni di Alcamo, la città di origine araba che da il nome al vino bianco qui prodotto, si coltiva la vite e si produce vino almeno dal XIV º secolo.
Nell’ Ottocento Alcamo era rinomata per il pregio dei suoi vini, molto richiesti nel Settentrione soprattutto per la produzione di vermouth, grazie al sapore neutro e all’ elevato grado alcolico che si aggirava tra i 13 e 17 gradi.
L’ affinamento continuo delle tecniche di coltivazione e produzione ha fatto si che negli ultimi 30 anni questa zona sia divenuta capace di dar vita a un prodotto di gradazione più contenuta e di maggior qualità e freschezza.
L’ arrivo della D.O.C. nel 1972 ha avuto come effetto un’ ulteriore qualificazione del prodotto, nonché una sua migliore commercializzazione, che ne hanno fatto uno dei fiori all’ occhiello della Sicilia vinicola.
L’ Alcamo di oggi ha un profumo molto tenue, quasi neutro, con leggera fragranza dell’ uva d’ origine, il sapore è secco, sapido, leggero, delicato, fresco e fruttato.
Il vitigno principale nella produzione del Bianco di Alcamo è il Catarratto, uno dei vitigni a bacca bianca più coltivati in Sicilia.
Partecipano inoltre altri vitigni come il Damaschino, il Grecanico e il Trebbiano Toscano, con una penetrazione negli uvaggi di una percentuale non superiore al 20 %.
Il Bianco di Alcamo o Alcamo accompagna piatti leggeri della cucina estiva con ortaggi crudi come il finocchio, o cotti al forno come le zucchine, frutti di mare, carpacci di pesce a base di tonno o pesce spada, secondi piatti di pesce cucinati in salse leggere o nel vino Alcamo stesso.
CARATTERISTICHE DEL BIANCO DI ALCAMO
GRADAZIONE ALCOLICA : 11,5 gradi
COLORE : giallo paglierino chiaro con riflessi verdolini
TEMPERATURA DI SERVIZIO : 8 – 10 gradi
*
Venerdì mattina, dopo due giorni di dolce pigrizia, riprendemmo la nostra auto e ci dirigemmo verso Palermo.
Alle 10,45 eravamo già dentro la capitale siciliana.
Essendo Palermo la seconda maggior città dell’ Italia Meridionale, decidemmo di passarci due giorni, il massimo che la nostra vacanza, quasi al termine, ci poteva concedere.
In verità non furono sufficienti, ci limitammo a visitare i monumenti più importanti tra i quali, per esempio, la Cattedrale e il Palazzo Reale, Monreale e il suo Duomo, poco distante dalla città, il litorale palermitano che con la sua Conca d’ Oro sfoggia una bellezza naturale disarmante.
Ma Palermo merita di più.
Appena due giorni significa rinunciare matematicamente a una grande percentuale di tutte le sue attrattive.
La giornata di venerdì la passammo in una rigida dieta mediterranea : insalate di ogni tipo, paste in bianco e frutta.
Dopo i due giorni di Erice, i nostri organismi richiedevano, anzi pretendevano un ‘‘ break ’’, e noi glielo concedemmo appunto nella prima giornata palermitana.
Effettuammo anche un clamoroso strappo al regolamento : 24 ore senza produzioni enologiche di nessun tipo.
Il giorno seguente, sabato, la ‘‘ routine ’’ enogastronomica tornò alla normalità.
Alle 12,00 eravamo già alla ricerca di un ristorante, con una fame sfrenata dove le responsabilità erano da attribuire in egual misura sia alla giornata precedente che a quella ‘‘ appetitosa ’’ aria di mare.
Ne scovammo uno in una viuzza del centro storico e il menu che stava appeso alla porta d’ ingresso, con relativi prezzi, ci conquistò.
Sinceramente affascinò soprattutto Cristina, perché il sottoscritto fu attratto più che altro da una serie di bottiglie di una notissima casa vinicola siciliana, esposte nel bel mezzo della piccola vetrina e circondate da numerosi grappoli d’ uva e qualche tralcio di vite.
Tutto di plastica, d’ accordo, ma l’ effetto scenico era piacevole e convincente.
Il locale, profumatamente arredato con fiori di vario tipo, anche d’ arancio, era suddiviso in due piccole sale divise da tre gradini.
Scendemmo nella seconda e ci accomodammo nell’ unico tavolo libero dei cinque disponibili.
Nell’ aria volteggiava un delicato aroma di carne alla griglia.
Il ‘‘ vociare ’’ dei clienti locali era mescolato a quello di altri con dialetti differenti : ne riconobbi appena uno, il toscano.
Ogni cameriere sfoggiava una bella uniforme bianca e nocciola con su scritto, in discreta evidenza, il nome di un vino, lo stesso esposto nella vetrina d’ entrata.
La mia scelta cadde proprio su quel vino, ma non fu condizionata affatto da quel martellamento pubblicitario.
Avevo già deciso che a Palermo il vino da degustare era unicamente il Corvo di Casteldaccia.
Disponibile in varie tipologie, aspettai la scelta delle pietanze, responsabilità ancora una volta che spettava alla mia compagna.
Antipasto all’ italiana con salumi e formaggi, vermicelli alla siciliana, filetto di manzo al vino rosso con contorno di patate bollite.
Ero interessato a un rosato, ma quella carne meritava un vino più strutturato, quindi senza dubbio, Corvo rosso.
Su suggerimento del proprietario ( ? ) che mi accompagnò addirittura nella scura e fresca cantina, situata a un piano inferiore della sala, scelsi una bottiglia del ’92.
Avevo già nel mio archivio personale varie notizie sui vini di Casteldaccia, le quali mi vennero confermate e ampliate dal più che preparato ristoratore.
La scelta del vino risultò pienamente felice, quel Corvo molto sottile, era dotato in realtà di una ‘‘ maestosa ’’ corposità, e la sua presenza in tavola non passò affatti nell’ anonimato.
La mia compagna, nuova appassionata di vini siciliani, percepì pienamente che quel vino non era un prodotto qualunque e ritenne opportuno, per il mio grande piacere, carpirne qualche segreto.
*
La Sicilia ha una tradizione vinicola antichissima : la coltivazione della vite risale addirittura a quasi quattro millenni fa.
In quest’ isola giunsero i Fenici, Cretesi – Micenei e Greci, influenzando e sviluppando a loro modo la produzione vinaria dell’ isola.
L’ apice venne raggiunto durante l’ Impero Romano quando i vini siciliani erano esportati anche in altri paesi europei.
Caduto l’ Impero, l’ isola fu amministrata dai Bizantini che diedero impulso allo sviluppo delle grandi proprietà religiose.
Con il dominio arabo la produzione vinicola venne abolita, al contrario dell’ uva da tavola che continuò fiorente.
Con i Normanni e gli Svevi la produzione di vino riprese vita, ricollocando l’ isola tra le regioni più vocate alla coltura della vite.
Le successive dominazioni angioine, aragonese, dei Viceré spagnoli e dei Borboni, condannarono la Sicilia a una lenta ma progressiva decadenza politica ed economica.
Decadenza che dal punto di vista vinicolo, se si esclude il periodo aragonese, rimase fino gli inizi del XX º secolo.
Oggi tra l’ appoggio economico dello Stato e le coraggiose iniziative di alcune aziende vinicole locali, i vini siciliani molto corposi, pesanti, alcolici e privi di armonicità, si sono trasformati in prodotti più raffinati, leggeri ed eleganti.
Tra queste aziende vale la pena evidenziare la Duca di Salaparuta nata nel 1824.
Il suo insistente impegno nell’ utilizzazione di vitigni prevalentemente autoctono, abbinato a nuove e moderne tecniche di vinificazione, ha creato ottimi frutti, tra i quali il Corvo.
Una antica leggenda siciliana racconta di un corvo che gracchiava continuamente nei vigneti di Casteldaccia, nei pressi di Palermo.
I contadini a causa di quel fastidioso canto non riuscivano più a lavorare, al punto che decisero di rivolgersi a un famoso monaco dell’ epoca che era in grado di parlare con gli animali.
Il monaco incontrò l’ uccello e giunse a un accordo.
Il corvo non avrebbe più infastidito i contadini se da quel giorno la sua immagine e il suo nome fossero associati alla bontà e alla qualità.
Da allora quelle terre si chiamarono Corvo di Casteldaccia e da quei vigneti il Principe Giuseppe Alliata, Duca di Salaparuta, creò un vino destinato a divenire molto conosciuto e apprezzato nel mondo intero.
Il più famoso è il Corvo rosso ottenuto dai vitigni Nero d’ Avola, Perricone e Nerello, tutti autoctoni.
È un vino dal profumo intenso, caratteristico, con sapore asciutto, vellutato, pieno e armonico.
È capace di invecchiare cinque e più anni.
Si abbina a primi piatti saporiti e piatti di carne molto strutturate, tra le quali anche la selvaggina di pelo.
L’ altro Corvo altrettanto famoso, è il Bianco vinificato sempre con vitigni locali come l’ Inzolia, il Catarratto e il Grecanico.
Il suo aroma è contraddistinto da carattere, finezza e delicatezza, il sapore è fresco, armonico, secco e fruttato.
Il Corvo bianco si presta ad abbinare preparazioni a base di verdure e di pesce, ma può essere servito anche per accompagnare tutte le portate di un pranzo leggero.
CARATTERISTICHE DEL CORVO DI CASTELDACCIA
GRADAZIONE ALCOLICA : Bianco 11,5 gradi Rosso 12
COLORE : Bianco - giallo paglierino con riflessi verdini
*
Dopo oltre quattro ore ci alzammo dalla tavola stupefacemente soddisfatti nello stomaco e nella mente.
Fui però costretto a mutare il programma della giornata.
L’ idea era di stare nel tardo pomeriggio di quel lunedì ad Agrigento, ma erano le 18,00 e ancora ci trovavamo a Vittoria, distante quasi due ore di auto.
Oltretutto le mie condizioni fisiche, come quelle di Cristina peraltro, dopo un pranzo di quelle dimensioni, non erano le migliori per sopportare una nuova tappa, per giunta in mezzo a una calura fondente.
Chi ci salvò fu il buon Gianbattista.
‘‘ No Giovanni, per questa notte restate qui.
Domani mattina, presto se ritenete necessario ma freschi e riposati, andate ad Agrigento ’’.
E così facemmo.
Uscì solamente un poco la sera con Cristina a comprare dei regali per Gianbattista e la simpatica e ‘‘sicilianamente’’ ospitale coppia di genitori.
Quella sera stessa salutammo Francesca e il mio buon ex-compagno d’ armi, invitandoli in Umbria per potergli restituire perlomeno una parte di tutto quello che di buono fecero per noi.
‘‘ Ciao Gianbattista, grazie di tutto, prima di uscire dalla Sicilia ti telefono di nuovo per ricordarti che ti aspetto a Perugia, te e tutta la tua bella famiglia ’’.
Con queste parole lo lasciai, fino ad oggi purtroppo il mio debito morale con lui ancora esiste perché non abbiamo più avuto occasione di rivederci.
E Salvatore ?
Il mitico ‘‘ vinologo ’’ si commiatò poco dopo il pranzo.
Prima di andarsene però mi chiese il mio numero di cellulare e il percorso che avrei fatto al ritorno.
‘‘ Ancora non lo so Salvatore, mi piacerebbe passare ai piedi dell’ Etna e a Catania, ma dipenderà dal tempo che avremo a disposizione ’’.
‘‘ Non vi prometto nulla Giovanni, ma se riesco a organizzare una sorpresa, ti chiamo e ti inviterò a fare una deviazione sul tuo programma.
Forse vi ruberò una mezza giornata, ma vi assicuro che ne vale veramente la pena.
Va bene ? ’’
È una sorpresa enologica ? – chiesi, mordendomi le labbra per la curiosità.
‘‘ Sempre ammesso che sia possibile, si ! ’’
‘‘ Va bene Salvatore, aspetto una tua chiamata allora ’’.
La mattina seguente ci dirigemmo in direzione di Agrigento costeggiando il litorale di Gela e Licata.
Arrivammo nel capoluogo intorno alle 11,00.
Passeggiare nella superba Valle dei Templi significa regalarsi un balzo nel passato di 25 secoli fa, fuori dalla realtà.
Quelle colonne emanano un profumo di storia inebriante che abbinato alle bellezze dei luoghi, fanno del momento una esperienza emozionale che resta prigioniera dentro di noi.
Il tempo passò rapido al punto che quando ci svegliammo dall’ ipnosi ellenica erano quasi le 14,00.
L’ idea di recarci in un ristorante neanche sfiorò le nostre menti.
Avevamo a disposizione del pane siciliano, una piccola forma di pecorino siciliano, e una dozzina di cannoli, il tutto regalatoci dalla famiglia di Gianbattista.
Con una giornata culinaria come quella precedente decidemmo di concedere un giorno di riposo ai nostri affaticati stomaci.
Dalla ‘‘ Valle dei Templi ’’ passammo al centro della città per una rapida visita ; successivamente scendemmo un poco sul litorale agrigentino, poco lontano.
La giornata era assolata ma la temperatura era un poco più fresca di quella delle due precedenti.
Con gli sguardi rivolti al Mar Mediterraneo, un gradevole venticello marino era spezzato di tanto in tanto da folate di caldo vaporoso.
‘‘ È il vento che proviene dal Sahara, l’ Africa è qui di fronte a noi Cristina.
A Sud, più o meno in questa direzione a 160 / 170 chilometri si trovano le isole Pelagie con Linosa e Lampedusa, amministrate dalla Provincia di Agrigento ‘’.
Tra un argomento e l’ altro, nel bel mezzo del dialogo, riafforò il vino, ma non fu per colpa mia, semmai della mia compagna.
Qual’ è il vino tipico di questo tratto della regione ? – chiese la nuova aspirante a enologa.
Non perdetti l’ occasione, fu lei che creò l’ opportunità.
*
Nella Sicilia Centro – Occidentale, tra le province di Agrigento e Caltanissetta, in un territorio assolato quasi tutto l’ anno, si trova la tenuta di Regaleali.
Nella prima metà del XIX º secolo questa tenuta era un feudo che si sviluppava su circa 1.200 ettari di terreno collinare, dei quali una trentina erano occupati dai vigneti.
Questi erano racchiusi con dei muri di cinta chiamati ‘‘ girato ’’, corrispondenti ai ‘‘ clos ’’ francesi, ossia fondo protetto da mura.
La grande maggioranza di questi feudi erano poco produttivi soprattutto per l’ incompetenza dei baroni che li gestivano.
Il feudo di Regaleali, divenuto di proprietà della famiglia Tasca nel 1834, rappresentò una eccezione.
Luigi Tasca barone di Regaleali e suo nipote Lucio Tasca conte d’ Almerita diedero vita a numerosi vini rossi, rosati e bianchi di pregio elevato.
Utilizzando sia vitigni autoctoni che vitigni importati da altri paesi, i vini di Regaleali hanno delle caratteristiche uniche.
Non sono comparabili né a quelli vinificati al Nord, né a quelli tipici del Sud Italia.
Ciò è possibile perché le uve destinate alla loro produzione sono allevate a una altitudine compresa tra i 450 e i 700 metri ; a queste si aggiungono altre uve acquistate provenienti da vigneti posti sino a 850 metri di altezza.
I vini di Regaleali hanno pertanto il calore caratteristico dei vini del Meridione italiano, perché beneficiano di un intenso irraggiamento solare ; oltre a questo le elevate altitudini danno luogo a sensibili escursioni termiche tra il giorno e la notte, conferendo ai vini una ricchezza aromatica più simile a molti vini del Nord.
Oggi l’ azienda Regaleali ha una estensione di 460 ettari di vigneti reimpiantati negli anni ’50 in sostituzione ai vecchi non più produttivi.
Ai tipici vitigni locali come l’ Inzolia, il Catarratto, il Nero d’ Avola, il Perricone e altri, sono stati affiancati alcuni francesi ( Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Nero ), iniziando così la modernizzazione delle cantine di oggi dove si producono sia vini ‘‘ tradizionali ’’ che vini a base di vitigni importati.
Nascono così tra gli altri il Regaleali rosso, il Regaleali bianco, e il Regaleali Chardonnay.
Il Bianco è un vino con aroma molto fruttato di mela e di banana, il sapore è ricco, morbido, fruttato.
Accompagna varie preparazioni, anche saporite, a base di pesce e verdure.
Lo Chardonnay, invecchiato 18 mesi, nove dei quali in botti di rovere, ha un aroma caratteristico, pieno, intenso e floreale, il sapore è asciutto, delicato, con note vanigliate conferite dal legno delle botti.
Per gli abbinamenti a tavola valgono le stesse regole del Bianco, a condizione però che le preparazioni siano delicate.
Il Rosso è un vino con profumo delicatamente floreale, molto fragrante, il sapore è equilibrato, con note fruttate, piacevolmente armonico.
La varietà Regaleali rosso accompagna egregiamente grandi piatti di carni rosse sia grigliate che arrostite, eccellente con formaggi a pasta dura e stagionati e, quando invecchiato, può essere proposto anche al fianco di preparazioni con selvaggina di pelo.
CARATTERISTICHE DEL REGALEALI
GRADAZIONE ALCOLICA : Bianco 12 gradi Chardonnay 11,5 Rosso 12,5
COLORE : Bianco - giallo paglierino con riflessi verdini Chardonnay – giallo paglierino intenso
Rosso - rosso rubino vivace con sfumature granate
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Bianco 10 – 12 gradi Chardonnay 10 – 12 Rosso 18
*
Alle 16,45 riprendemmo l’ auto e continuammo il nostro viaggio.
Il prossimo obiettivo era Marsala.
Con la massima tranquillità, godendoci il litorale Sud della Sicilia, arrivammo nella città alle 19,15.
Avevamo a disposizione tutto il tempo sufficiente per trovare una sistemazione per la notte e visitare un poco la città.
Collocata nella estremità Ovest della Sicilia, Marsala ci regalò un tramonto marino rosso porpora chiaro, bellissimo.
Seduti in un bar del litorale marsalese, io e Cristina facemmo un riassunto di quei primi quattro giorni di vacanza.
La nostra rilassante conversazione era accompagnata da un bel piatto di ceramica con quattro divisori, ognuno dei quali conteneva una frutta secca diversa ( pistacchi, arachidi, nocciole e mandorle ), e …………… una elegante bottiglietta di Marsala di 500 millilitri.
‘‘ Giovanni, vorrei farti una domanda su questa bottiglia, mi prometti però che non ti dilungherai nella risposta tra le ‘‘ dieci ’’ e le ‘‘ quindici ’’ ore, e che rientreremo presto in albergo ?
Sono semplicemente stanchissima, voglio dire ……a pezzi ! ’’
Dopo un largo sorriso risposi : ‘‘ Tranquilla, anche se sono abbastanza informato sui vini di Marsala giuro che non ti tratterrò per molto tempo, la stanchezza è forte anche dalla mia parte ’’.
In questa bottiglia c’ è scritto ‘‘ Metodo Solera ’’, che significa ? – la domanda di Cristina.
Gli spiegai sinteticamente ( per modo di dire perché durai più di un' ora ) il significato, ma prima feci un largo giro di tutte le mie conoscenze sul vino Marsala, scaricandole con la massima vivacità possibile del momento alla mia assonnata compagna.
Quando i Greci colonizzarono le regioni del Mediterraneo, diffusero le loro tecniche di coltivazione, tra le quali quella della vite allevata a piccoli alberelli.
Potata con questo sistema, la chioma della pianta ombreggia il proprio piede, specialmente nelle ore più calde con il sole a picco, proteggendolo dal calore eccessivo.
Nello stesso tempo la breve distanza che separa il grappolo dal terreno garantisce il calore necessario alle uve per una buona maturazione.
Queste, ricche di zuccheri, dopo la raccolta spesso vengono fatte essiccare e alcuni vini ottenuti vengono addirittura corretti con sostanze dolcificanti o con dei distillati.
Tutto questo è il filo che unisce tra i più grandi vini liquorosi del mondo prodotti intorno al 40 º parallelo, come il Madeira, il Porto, lo Xérès o Sherry, il Malaga, il Commandaria dell’ isola di Cipro, e il Marsala.
Gli albori della civiltà vinicola marsalese risalgono all’ epoca della dominazione fenicia ( VIII – VI º sec. a. C. ) ; nel periodo greco Marsala ebbe notevole importanza, infatti nel III º sec. a. C. il suo porto era l’ emporio vinicolo più importante di tutto il Mediterraneo.
Non si hanno documenti che attestino lo stato della vitivinicoltura marsalese nell’ epoca romana e nei secoli successivi, ma i vini prodotti nel 1770 dovevano essere di gran pregio, se il mercante inglese John Woodhouse, grande estimatore dei vini spagnoli e portoghesi, approdato a Marsala per acquistare mandorle, fu tanto colpito dal vino locale al punto di acquistarne 20.000 litri da spedire in Inghilterra.
Alcuni sostengono che Woodhouse aggiunse acquavite al Marsala spedito per conservarlo durante il trasporto, inventando così involontariamente la formula.
Altri rispondono invece che il vino era già trasportabile in quanto nel 1600 il pittore Rubens lo portò con se ad Anversa nel Belgio.
Quest’ ultima ipotesi sosterrebbe che l’ inglese Woodhouse scoprì un vino già completo.
Resta il fatto comunque che quell’ anno 1770 contrassegnò l’ atto di nascita del Marsala ( così denominato dallo stesso Woodhouse ).
Il successo dell’ iniziativa fu tale che nel 1796 Woodhouse, tornato nell’ isola siciliana, vi costruì uno stabilimento vinicolo e diede inizio, con la collaborazione di suo fratello, a una propria produzione.
In un solo anno i fratelli Woodhouse inviarono in Inghilterra ben 200.000 litri.
Alla diffusione del Marsala in Londra e dintorni contribuì anche la flotta dell’ Ammiraglio Nelson che nel 1798 ne acquistò un grosso quantitativo e lo definì ‘‘ vino degno della mensa di qualsiasi gentiluomo ’’.
Tutto questo successo attirò l’ attenzione di un altro inglese, Benjamin Ingham, il quale segnò profondamente la storia delle origini del Marsala.
Costruito nel 1812 uno stabilimento nelle prossimità di quello dei connazionali Woodhouse, fu Ingham a dare a questo vino fama mondiale, esportandolo fino in Australia.
Al calabrese Vincenzo Florio, soprannominato ‘‘ il padre del commercio siciliano ’’, si deve la stesura di un altro capitolo fondamentale della storia del Marsala.
Nel 1832 Florio impiantò, nel bel mezzo dei due inglesi, la sua azienda, occupante sul litorale un fronte di circa un chilometro.
Nacque così il primo stabilimento vinicolo italiano di tipo industriale.
In 20 anni Florio, che era anche proprietario di una ditta di piroscafi a vapore, grazie a mezzi, organizzazione e intraprendenza, riuscì a strappare ai rivali inglesi molti dei mercati da loro conquistati e divenne il leader del commercio di Marsala.
Ai successi che accompagnarono questo celebre vino per tutto il XIX º secolo seguì un periodo di lento declino contraddistinto da una parte per una produzione eccessiva in relazione alle capacità di assorbimento del mercato, e dall’ altra il decadimento dell’ immagine come accade quasi inevitabilmente per vini ( e non solo vini ) di grande successo, che svegliano l’ interesse di molti speculatori dando vita a produzioni scadenti se non pessime, nella totale assenza di leggi a tutela dei prodotti di qualità.
I propositi di rilancio dei produttori del Marsala si sono concretizzati nel 1984, con la promulgazione di un rigido disciplinare, che ne ha reso più severa la tecnica di produzione, restituendo al vino la qualità e il prestigio dei secoli precedenti.
Il Marsala viene prodotto nei colori :
- Ambra ( giallo ambrato ) ;
- Oro ( giallo dorato ) ;
- Rubino ( rosso rubino con riflessi ambrati quando invecchiato ).
Nelle sue diverse versioni, questo vino siciliano è senza dubbio in ogni caso di ecellente qualità e di notevole longevità.
Le tecniche di vinificazione sono diverse e complesse ; variano a seconda del tipo di Marsala che si vuole ottenere.
In alcune produzioni, al vino viene aggiunta una miscela chiamata ‘‘ concia ’’ formata da mosto fresco, mosto cotto che risulta caramellizzato, mosto concentrato ( disidratato ), e alcool etilico che contribuisce a innalzare il tasso alcolico.
Nelle produzioni più pregiate del Marsala, cioè quelle sottoposte a lungo invecchiamento, viene adottato il ‘‘ Metodo Solera’’.
Da una botte viene estratto il vino da imbottigliare che corrisponde a circa un terzo del volume totale del contenitore.
La botte viene colmata da un vino di un anno più giovane estratto da un’ altra botte, e così via per alcune botti sempre con un vino di un anno più giovane del precedente.
Al termine di questo ciclo di travasi si arriverà alla botte contenente il vino della vendemmia precedente, che verrà colmata con il vino dell’ ultima raccolta.
Questo sistema permette che vini di diverse annate vengano mescolati ripetutamente, favorendo lo sviluppo dei più giovani che di fatto vengono assorbiti da quelli più vecchi.
La zona di produzione comprende l’ intera provincia di Trapani con l’ esclusione dei comuni di Alcamo, Pantelleria e Favignana.
Sono da considerarsi idonei unicamente i vigneti in coltura specializzata che usufruiscono delle condizioni di terreno e di clima atte ad assicurare alle uve, ai mosti e ai vini da essi ottenuti, le tradizionali caratteristiche di qualità.
Il Marsala presenta un odore molto ampio, intenso, con aromi di miele, uva passa e mandorla.
Il sapore è corposo, ricco, con fondo amarognolo ; può essere secco, semisecco o dolce, a seconda delle produzioni.
I vitigni che partecipano agli uvaggi del Marsala sono il Grillo, il Catarratto, l’ Inzolia e il Damaschino per le versioni Oro e Ambra ;
il Perricone, il Nero d’ Avola, il Nerello Mascalese e le uve a bacca bianca elencate nelle precedenti due varietà con una misura massima del 30 % per la tipologia Rubino.
Secondo il tasso zuccherino presente questo vino si distingue in :
- Secco ( zuccheri 40 grammi per litro ) ;
- Semisecco ( tra 40 e 100 grammi per litro ) ;
- Dolce ( oltre 100 grammi per litro )
Questa invece è la classificazione ufficiale del Marsala di oggi :
- FINE : gradazione di 18 gradi, invecchiamento di un anno, vinificato con l’ 1 % di mosto cotto ;
- SUPERIORE : gradazione di 18 gradi, invecchiamento di due anni, vinificato con l’ 1 % di mosto cotto ;
- SUPERIORE RISERVA : gradazione di 18 gradi, invecchiamento 4 anni, vinificato con l’ 1 % di mosto cotto ;
- VERGINE E/O SOLERA : gradazione di 18 gradi, invecchiamento 5 anni, nessuna aggiunta nella vinificazione ;
- VERGINE E/O SOLERA STRAVECCHIO O VERGINE E/O SOLERA RISERVA : gradazione di 18 gradi, invecchiamento 10 anni, nessuna aggiunta nella vinificazione ;
Esistono anche delle varietà speciali come il G.D. ( Garibaldi Dolce ), L.P. ( London Particolar ) e
S.O.M. ( Superior Old Marsala ) riservate al Marsala Superiore.
La varietà speciale I.P. ( Italia Particolare ) è per il Marsala Fine.
Una ultima interessante varietà è il Cremovo Vino Aromatizzato, ottenuto con l’ 80 % di vino Marsala e aggiunta di uova, gradazione alcolica di 16 gradi, tasso zuccherino di 200 grammi per litro, e invecchiamento di 4 mesi.
Come orientarsi negli abbinamenti di tante varietà, con caratteristiche organolettiche, tasso alcolico, e periodo di invecchiamento diverse tra loro ?
Ognuna di loro è senz’ altro ottima come aperitivo proposto a 10 gradi di temperatura e come vino fuori pasto o da meditazione tra i 6 e gli 8 gradi di temperatura.
Per abbinamenti più specifici orientatevi così :
- le versioni secche con arachidi, noci, nocciole, e frutta secca in generale ;
- quelle semisecche con formaggi erborinati, formaggi saporiti di lunga stagionatura e torte di frutta ;
- le dolci possono accompagnare torte lievitate e torte con creme, dolci al cucchiaio e dolci al cioccolato ;
- le varietà molto invecchiate meritano essere degustate esclusivamente come vini da meditazione, da soli o in compagnia, alla fine di una serata e lontano dai pasti.
*
Alle 11,00 di sera rientrammo in albergo.
La mattina successiva, per la prima volta non di buon orario, ma ben riposati, riprendemmo il nostro mezzo e andammo in direzione di Erice.
Cristina conosceva molto bene la piccola località balneare.
Vi aveva passato con la sua famiglia due vacanze di quindici giorni ciascuna negli ultimi due anni, e in considerazione del fatto che me ne parlava continuamente, la collocai tra le tappe d’ obbligo di quella vacanza.
Devo ammettere che quei due giorni di Erice valsero veramente la pena, perché la cittadina offre molte diversioni ed è un incanto.
Situata ai piedi del monte omonimo, Erice è probabilmente uno dei centri turistici di mare meglio organizzati di tutta la Sicilia, forse di tutta l’ Italia Meridionale.
Grazie alla sua splendida posizione panoramica, in questi ultimi decenni la crescita degli stabilimenti balneari ha fatto passi da gigante.
La stessa mia compagna ammise che la trovava più grande, più bella e più vivace rispetto alla prima volta che vi ci arrivò, appena due anni prima.
Passammo tra mare e sole le intere giornate di mercoledì e giovedì.
Colazione in albergo, ristorante sulla riva del mare con portate esclusivamente a base di pesce, e sera in discoteca.
Due giorni difficilmente descrivibili : fantastica parentesi all’ interno di una altrettanta fantastica vacanza siciliana.
E il vino ? Due giorni da astemi ?
No, chiaro !
Tutti i giorni perlomeno un pochino, preferibilmente con un pasto e mai nell’ imminenza di una tappa automobilistica.
La colonna sonora vinicola di quei due giorni di Erice fu suonata interamente dal ‘‘ maestro ’’ Bianco di Alcamo, un eccellente vino trapanese da pasto.
Una sera, prima di immergerci nella musica dance, io e Cristina lo sperimentammo in una pizzeria.
Il suggerimento ci venne dato da un simpatico ‘‘ vecchietto ’’ proprietario di una baracca di frutta nella spiaggia.
Lo affiancammo a una pizza con vongole, cannolicchi, gamberi e calamaretti : risultato 10 e lode.
L’ abbinamento quasi scontato di una pizza prevede al suo fianco una birra o una delle tante bibite disponibili nel mercato.
Ma da quell’ agosto del ’94 sempre più frequentemente l’ ho ‘‘ azzardata ’’ con una bottiglia di vino.
Scelte in alcuni casi che avrebbero fatto rabbrividire qualsiasi sommelier di professione, ma in altri si rivelarono delle felici scoperte.
Conoscendone l’ importanza, in due gorni non mi fu difficile ‘‘ tormentare ’’ persone più esperte di me, dell’ albergo, del ristorante, o semplicemente nuove amicizie della spiaggia, per raggranellare nuove informazioni su uno dei bianchi da pesce più noti di Sicilia.
*
Il comune di Alcamo appartiene amministrativamente a Trapani, una provincia che con i suoi 85.000 ettari di vigneti, rappresenta l’ aria più vitata d’ Italia.
Questa zona è caratterizzata da suoli bruni, quasi argillosi, generalmente fertili, ma anche quando non lo sono sufficientemente, e la cosa non è rara, l’ ingegno dei viticoltori locali ha superato ogni ostacolo mettendo a punto una tecnica agronomica che, sedimentata nel corso dei secoli, costituisce oggi un capitolo essenziale della cultura e della storia del popolo trapanese.
Il terreno del vigneto viene lavorato meccanicamente decine di volte, con cura addirittura esasperata, poi viene rotto attorno ala ceppo con le mani e sminuzzato per far ‘‘ respirare ’’ le radici.
Nei dintorni di Alcamo, la città di origine araba che da il nome al vino bianco qui prodotto, si coltiva la vite e si produce vino almeno dal XIV º secolo.
Nell’ Ottocento Alcamo era rinomata per il pregio dei suoi vini, molto richiesti nel Settentrione soprattutto per la produzione di vermouth, grazie al sapore neutro e all’ elevato grado alcolico che si aggirava tra i 13 e 17 gradi.
L’ affinamento continuo delle tecniche di coltivazione e produzione ha fatto si che negli ultimi 30 anni questa zona sia divenuta capace di dar vita a un prodotto di gradazione più contenuta e di maggior qualità e freschezza.
L’ arrivo della D.O.C. nel 1972 ha avuto come effetto un’ ulteriore qualificazione del prodotto, nonché una sua migliore commercializzazione, che ne hanno fatto uno dei fiori all’ occhiello della Sicilia vinicola.
L’ Alcamo di oggi ha un profumo molto tenue, quasi neutro, con leggera fragranza dell’ uva d’ origine, il sapore è secco, sapido, leggero, delicato, fresco e fruttato.
Il vitigno principale nella produzione del Bianco di Alcamo è il Catarratto, uno dei vitigni a bacca bianca più coltivati in Sicilia.
Partecipano inoltre altri vitigni come il Damaschino, il Grecanico e il Trebbiano Toscano, con una penetrazione negli uvaggi di una percentuale non superiore al 20 %.
Il Bianco di Alcamo o Alcamo accompagna piatti leggeri della cucina estiva con ortaggi crudi come il finocchio, o cotti al forno come le zucchine, frutti di mare, carpacci di pesce a base di tonno o pesce spada, secondi piatti di pesce cucinati in salse leggere o nel vino Alcamo stesso.
CARATTERISTICHE DEL BIANCO DI ALCAMO
GRADAZIONE ALCOLICA : 11,5 gradi
COLORE : giallo paglierino chiaro con riflessi verdolini
TEMPERATURA DI SERVIZIO : 8 – 10 gradi
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Venerdì mattina, dopo due giorni di dolce pigrizia, riprendemmo la nostra auto e ci dirigemmo verso Palermo.
Alle 10,45 eravamo già dentro la capitale siciliana.
Essendo Palermo la seconda maggior città dell’ Italia Meridionale, decidemmo di passarci due giorni, il massimo che la nostra vacanza, quasi al termine, ci poteva concedere.
In verità non furono sufficienti, ci limitammo a visitare i monumenti più importanti tra i quali, per esempio, la Cattedrale e il Palazzo Reale, Monreale e il suo Duomo, poco distante dalla città, il litorale palermitano che con la sua Conca d’ Oro sfoggia una bellezza naturale disarmante.
Ma Palermo merita di più.
Appena due giorni significa rinunciare matematicamente a una grande percentuale di tutte le sue attrattive.
La giornata di venerdì la passammo in una rigida dieta mediterranea : insalate di ogni tipo, paste in bianco e frutta.
Dopo i due giorni di Erice, i nostri organismi richiedevano, anzi pretendevano un ‘‘ break ’’, e noi glielo concedemmo appunto nella prima giornata palermitana.
Effettuammo anche un clamoroso strappo al regolamento : 24 ore senza produzioni enologiche di nessun tipo.
Il giorno seguente, sabato, la ‘‘ routine ’’ enogastronomica tornò alla normalità.
Alle 12,00 eravamo già alla ricerca di un ristorante, con una fame sfrenata dove le responsabilità erano da attribuire in egual misura sia alla giornata precedente che a quella ‘‘ appetitosa ’’ aria di mare.
Ne scovammo uno in una viuzza del centro storico e il menu che stava appeso alla porta d’ ingresso, con relativi prezzi, ci conquistò.
Sinceramente affascinò soprattutto Cristina, perché il sottoscritto fu attratto più che altro da una serie di bottiglie di una notissima casa vinicola siciliana, esposte nel bel mezzo della piccola vetrina e circondate da numerosi grappoli d’ uva e qualche tralcio di vite.
Tutto di plastica, d’ accordo, ma l’ effetto scenico era piacevole e convincente.
Il locale, profumatamente arredato con fiori di vario tipo, anche d’ arancio, era suddiviso in due piccole sale divise da tre gradini.
Scendemmo nella seconda e ci accomodammo nell’ unico tavolo libero dei cinque disponibili.
Nell’ aria volteggiava un delicato aroma di carne alla griglia.
Il ‘‘ vociare ’’ dei clienti locali era mescolato a quello di altri con dialetti differenti : ne riconobbi appena uno, il toscano.
Ogni cameriere sfoggiava una bella uniforme bianca e nocciola con su scritto, in discreta evidenza, il nome di un vino, lo stesso esposto nella vetrina d’ entrata.
La mia scelta cadde proprio su quel vino, ma non fu condizionata affatto da quel martellamento pubblicitario.
Avevo già deciso che a Palermo il vino da degustare era unicamente il Corvo di Casteldaccia.
Disponibile in varie tipologie, aspettai la scelta delle pietanze, responsabilità ancora una volta che spettava alla mia compagna.
Antipasto all’ italiana con salumi e formaggi, vermicelli alla siciliana, filetto di manzo al vino rosso con contorno di patate bollite.
Ero interessato a un rosato, ma quella carne meritava un vino più strutturato, quindi senza dubbio, Corvo rosso.
Su suggerimento del proprietario ( ? ) che mi accompagnò addirittura nella scura e fresca cantina, situata a un piano inferiore della sala, scelsi una bottiglia del ’92.
Avevo già nel mio archivio personale varie notizie sui vini di Casteldaccia, le quali mi vennero confermate e ampliate dal più che preparato ristoratore.
La scelta del vino risultò pienamente felice, quel Corvo molto sottile, era dotato in realtà di una ‘‘ maestosa ’’ corposità, e la sua presenza in tavola non passò affatti nell’ anonimato.
La mia compagna, nuova appassionata di vini siciliani, percepì pienamente che quel vino non era un prodotto qualunque e ritenne opportuno, per il mio grande piacere, carpirne qualche segreto.
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La Sicilia ha una tradizione vinicola antichissima : la coltivazione della vite risale addirittura a quasi quattro millenni fa.
In quest’ isola giunsero i Fenici, Cretesi – Micenei e Greci, influenzando e sviluppando a loro modo la produzione vinaria dell’ isola.
L’ apice venne raggiunto durante l’ Impero Romano quando i vini siciliani erano esportati anche in altri paesi europei.
Caduto l’ Impero, l’ isola fu amministrata dai Bizantini che diedero impulso allo sviluppo delle grandi proprietà religiose.
Con il dominio arabo la produzione vinicola venne abolita, al contrario dell’ uva da tavola che continuò fiorente.
Con i Normanni e gli Svevi la produzione di vino riprese vita, ricollocando l’ isola tra le regioni più vocate alla coltura della vite.
Le successive dominazioni angioine, aragonese, dei Viceré spagnoli e dei Borboni, condannarono la Sicilia a una lenta ma progressiva decadenza politica ed economica.
Decadenza che dal punto di vista vinicolo, se si esclude il periodo aragonese, rimase fino gli inizi del XX º secolo.
Oggi tra l’ appoggio economico dello Stato e le coraggiose iniziative di alcune aziende vinicole locali, i vini siciliani molto corposi, pesanti, alcolici e privi di armonicità, si sono trasformati in prodotti più raffinati, leggeri ed eleganti.
Tra queste aziende vale la pena evidenziare la Duca di Salaparuta nata nel 1824.
Il suo insistente impegno nell’ utilizzazione di vitigni prevalentemente autoctono, abbinato a nuove e moderne tecniche di vinificazione, ha creato ottimi frutti, tra i quali il Corvo.
Una antica leggenda siciliana racconta di un corvo che gracchiava continuamente nei vigneti di Casteldaccia, nei pressi di Palermo.
I contadini a causa di quel fastidioso canto non riuscivano più a lavorare, al punto che decisero di rivolgersi a un famoso monaco dell’ epoca che era in grado di parlare con gli animali.
Il monaco incontrò l’ uccello e giunse a un accordo.
Il corvo non avrebbe più infastidito i contadini se da quel giorno la sua immagine e il suo nome fossero associati alla bontà e alla qualità.
Da allora quelle terre si chiamarono Corvo di Casteldaccia e da quei vigneti il Principe Giuseppe Alliata, Duca di Salaparuta, creò un vino destinato a divenire molto conosciuto e apprezzato nel mondo intero.
Il più famoso è il Corvo rosso ottenuto dai vitigni Nero d’ Avola, Perricone e Nerello, tutti autoctoni.
È un vino dal profumo intenso, caratteristico, con sapore asciutto, vellutato, pieno e armonico.
È capace di invecchiare cinque e più anni.
Si abbina a primi piatti saporiti e piatti di carne molto strutturate, tra le quali anche la selvaggina di pelo.
L’ altro Corvo altrettanto famoso, è il Bianco vinificato sempre con vitigni locali come l’ Inzolia, il Catarratto e il Grecanico.
Il suo aroma è contraddistinto da carattere, finezza e delicatezza, il sapore è fresco, armonico, secco e fruttato.
Il Corvo bianco si presta ad abbinare preparazioni a base di verdure e di pesce, ma può essere servito anche per accompagnare tutte le portate di un pranzo leggero.
CARATTERISTICHE DEL CORVO DI CASTELDACCIA
GRADAZIONE ALCOLICA : Bianco 11,5 gradi Rosso 12
COLORE : Bianco - giallo paglierino con riflessi verdini
Rosso – rosso rubino vivace con sfumature granate quando invecchiato
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Bianco 8 – 10 gradi Rosso 16 – 18
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Tra un boccone e l’ altro e tra un sorso di Corvo e un altro ancora, con Cristina programmai la parte finale della vacanza.
Erano quasi le 14,00 di sabato e il nostro rientro in Umbria era previsto ( obblighi di lavoro ) massimo per la mattina di martedì.
‘‘ Giovanni sarà che Salvatore telefona ? ’’
‘‘ Non so quello che dirti, ma nella ipotesi che non chiami io pensavo di fare così : passiamo questa notte a Palermo, domani mattina presto, molto presto, attraversiamo l’ isola intera e ci dirigiamo verso Catania e l’ Etna.
Lì trascorriamo la domenica intera, pernottiamo, e lunedì con la massima calma torniamo verso casa ’’.
Con il programma stilato dedicammo la parte finale di sabato sempre alla città di Palermo.
Verso le 17,30 di quel pomeriggio il mio cellulare squillò, sorpresa relativa in quanto la mia famiglia e quella di Cristina erano in continuo contatto con noi durante i vari spostamenti.
Risposi : ‘‘ Ehi ! Il mitico tecnico agrario ……Come stai ? …… Dimmi Salvatore …… domani ? ……
pensavo di andare a Catania, ma non è nulla di ufficiale …… d’ accordo, allora ti chiamo in casa domani mattina nel momento in cui sarò nelle prossimità di Enna …… ciao Salvatore, a domani ’’.
Cristina mi guardò sorridendo : ‘‘ Addio Catania ed Etna ……credo ’’.
‘‘ Te lo saprò dire domani mattina, Salvatore gioca a fare il misterioso, la sua sorpresa è praticamente pronta mi ha detto, lo devo richiamare domani per il luogo d’ incontro, ma non conosco né dove e né a che ora ’’.
Passammo gran parte della serata a conversare su quella telefonata.
Non perché l’ alone di mistero ci stava disturbando, semmai per la fastidiosa voglia di sapere qualche cosa di più che ci stava rosicchiando.
Me più che altro.
Il problema era che quel ‘‘ sadico ’’ di ampelografo preparò tutto con stile ‘‘ Giallo Mondadori ’’ e le domande, senza risposta, mi passavano vorticosamente una accanto all’ altra.
Domenica mattina alle 7,30 eravamo già prontissimi per la penultima tappa dell’ isola.
L’ Autostrada che lega Palermo a Catania è buona e suggestiva.
I 220 chilometri che la compongono non furono eccessivamente stancanti.
Alle 10,10 arrivammo nel cuore della Sicilia.
Approfittammo per rifocillarci un poco e, come previsto, per chiamare Salvatore.
‘‘ Sono nelle vicinanze di Enna, dimmi quello che devo fare ’’.
Salvatore rispose : ‘‘ Cerca nella tua mappa la città di ……, per arrivarci raggiungi …… e prendi la vecchia provinciale.
Da Enna senza fermarti ha i bisogno di un’ ora e mezzo di tempo.
Una volta arrivato a ……, ripeto entrando dalla vecchia provinciale che la unisce a Enna, ti fermi al primo distributore Agip che incontri.
Io sarò là ad aspettarvi.
Qualsiasi problema ti lascio il mio numero di cellulare ’’.
Arrivati a quel punto non sapevo ancora di cosa si trattasse la sorpresa di Salvatore, ma di due cose avevo la certezza : la prima era che, come all’ andata, non avremmo avuto la possibilità di visitare Catania e il suo famoso vulcano, la seconda che avrei raggiunto Salvatore anche in Sud Africa, tanto era forte la curiosità che mi aveva gettato addosso.
Non fu difficile, arrivammo in perfetto orario nel punto stabilito.
Regolarmente Salvatore era già là che ci stava aspettando.
‘‘ Mi dispiace ragazzi forse vi sto rovinando la parte finale della vostra vacanza, però vi assicuro che ne varrà la pena ’’. Poco dopo ci condusse in una bella villa della periferia.
Lì abitava un suo amico di molto tempo.
In rispetto alla sua ‘‘ privacy ’’ ne conserverò l’ anonimato, sia su quella città che sul suo nome : in questo libro lo chiamerò semplicemente Fred.
Professore di Università, sessant’ anni o poco meno molto ben portati, ci accolse con la solita squisita ospitalità dell’ isola.
Allora sono loro gli umbri appassionati di vini di Sicilia – disse rivolgendosi a Salvatore.
Esatto, e quello che hai non può che fargli piacere – rispose il nostro amico.
Dopo i primi convenevoli e scambi di opinioni attorno a un caffè servitoci dalla moglie, Fred ci invitò a seguirlo.
Percorremmo un lungo corridoio tempestato di quadri e arazzi, fino a raggiungere una porta dove entrammo e scendemmo in una rampa di scala.
In fondo ai gradini, in un bel pianerottolo di marmo, altre tre porte : prendemmo quella di sinistra.
Subito dopo scendemmo ulteriormente in una stretta scala di cemento di circa 10 gradini e con una sola piccola lampadina che la illuminava.
In fondo alla scala c’ era una bella colonna di marmo o simile di stile greco – romano, sopra la colonna una statua di Bacco con i suoi immancabili grappoli d’ uva nel capo a forma di corona.
A quel punto non avevo più dubbi.
La statua con il Dio del vino, l’ odore intenso di legno maturo e un sottile aroma che ricordava un vino degustato da poco ; quel locale non poteva che essere la cantina di casa.
E che cantina.
Fred accese le luci che davano sul soffitto, con un interruttore dotato di regolatore di intensità ; alla bassa luminosità proveniente dalla finestrella della cantina, si aggiunse una molto leggera provocata dalle lampade.
La cantina era un corridoio largo circa tre metri, profondo una ventina, e alto poco più di due, soffitto color marrone chiaro, pareti completamente chiuse da quattro scaffalature differenti – due per parte – interamente in legno di castagno.
In entrambe le pareti, al centro, una bella colonna dal soffitto al pavimento composta da varie file orizzontali di cinque coppi ognuna, contenente altrettante bottiglie, fungeva da divisore tra una scaffalatura e un’ altra.
Qui ci tengo vini di rapido consumo, non molto conosciuti ma tutti di produttori di mia fiducia – disse Fred.
E nelle altre scaffalature ? – domandai.
‘‘ La prima a destra contiene i grandi vini di Sicilia, la seconda sempre su quel lato, vini di altre regioni italiane tra cui anche un Sagrantino d Montefalco che è della vostra regione, dall’ altra parte conservo nella prima alcuni vini d’ Europa e del mondo, nella seconda, sempre a sinistra, i miei vini ‘‘ speciali ’’.
Non posso ora dilungarmi nell’ elencare tutte le opere d’ arte vinicole di quella incredibile cantina.
Posso dire che oltre a una quindicina di regioni italiane, l’ esperto Fred vi aveva collocato anche produzioni francesi, tedesche, spagnole, portoghesi, ungheresi, statunitensi, australiane, neozelandesi, brasiliane, cilene, argentine e sudafricane.
E nell’ angolo vini speciali, qual’ è il più speciale di tutti ? – chiese Salvatore.
‘‘ In quella parte ci tengo vini molto vecchi italiani e francesi, Champagne con bottiglie decorate, Madeira, Porto, Xérès, Vin Santo di ogni anno, vecchi anche di 20, Marsala Solera, ma fra tutti questi il mio orgoglio è un Moscato di Siracusa del 1907 ’’.
Quella bottiglia era là, adagiata in posizione orizzontale come tutte le altre, tra un vino francese e uno campano.
Sigillata con un tappo di sughero in ottime condizioni ( forse ritappata di recente ), la bottiglia era di color verde, ma il buon spessore di polvere che la rivestiva impediva di verificarne sia la tonalità del vetro che quella del vino secolare.
Per comprendere l’ importanza di quel vino e attribuire il giusto riconoscimento a quello che Salvatore aveva organizzato per noi, io e Cristina ne dovevamo conoscerne la storia.
*
Quella di Siracusa da sempre è tra le province più rinomate della Sicilia per il pregio e la nobiltà dei suoi vini.
Primo tra questi – alcuni dei quali prodotti in comuni che dal 1926 sono passati alla provincia di Ragusa, allora costituita, ma storicamente legati a Siracusa – è il Moscato.
Il famoso storiografo ed enologo Saverio Landolina Nava ( 1743 – 1814 ) lo ritenne identificabile con il ’’ Pollio siracusano ’’, vino ottenuto da quell’ uva ‘‘ Biblia ’’ ( dai monti Biblini nella Tracia ) che fu introdotta a Siracusa da Pollis, mitico tiranno della città all’ epoca dell’ insediamento delle prime colonie greche in Sicilia ( VIII – VII º secolo a. C. ).
Se il frammento dello storico latino Zenobio ( I º sec. a. C.) al quale Landolina Nava fa riferimento per formulare la sua ipotesi dice il vero, allora il Moscato di Siracusa è da ritenere uno dei vini più vecchi d’ Italia, se non addirittura il più antico.
Ma oggi questa perla dell’ enologia nazionale, a dispetto del prestigio millenario, si è persa.
Nell’ 800 grandi quantità di vino liquoroso erano vendute in tutti i mercati del mondo sotto l’ etichetta di un vino che delle cantine di Sicilia non conosceva neanche l’ odore e che si fregiava fraudolentemente di questo nome, per darsi un blasone che in realtà non possedeva.
Comunque una produzione, sia pur di piccole dimensioni, doveva aver luogo, se nel 1900 all’ Esposizione di Parigi due Moscato di Siracusa vennero premiati.
Ma già nel 1933 alla I º Mostra Mercato dei ‘‘ Vini tipici italiani ’’, il Moscato di Siracusa non comparve.
Dal 1983 nell’ albo dei vigneti a D.O.C. risulta iscritto solo mezzo ettaro di una unica azienda, ma non è riportata alcuna produzione.
Ogni enofilo non può esimersi dallo sperare che presto questo grande prodotto della terra di Sicilia ricompaia nelle cantine e sulle tavole degli amanti del buon vino.
Per ora dobbiamo accontentarci di vederlo vivere nella dimensione della memoria, habitat naturale di tutto ciò che, smessi gli abiti della storia, entra a far parte della leggenda.
Vinificato in purezza con il Moscato bianco ( denominato localmente Moscato giallo o Moscatello giallo ), presenta ( o presentava ) un profumo delicato e caratteristico, sapore dolce, vellutato, gradevole.
Gli abbinamenti ideali sono i dessert ma a che serve elencarli quando probabilmente per molti di noi è ancora una sensazione proibita.
CARATTERISTICHE DEL MOSCATO DI SIRACUSA
GRADAZIONE ALCOLICA : 16,5 gradi
COLORE : giallo oro vecchio con riflessi ambracei
TEMPERATURA DI SERVIZIO : 10 gradi
*
Come sei venuto in possesso di questa bottiglia ? – chiesi a Fred.
Con una buona dose di fortuna – rispose – .
‘‘ Partecipai a un’ asta antiquaria dove non erano presenti appassionati di vini come me, e quindi possibili accaniti concorrenti.
Infatti l’ asta era organizzata soprattutto nella vendita di mobili del ‘700 e dell’ 800 e per questo non attirò l’ attenzione di ‘ cacciatori di bottiglie ’’.
Oltretutto nell’ elenco degli oggetti in vendita non erano neanche collocate – e qui sorrise.
Fred continuò : ‘‘ Io mi trovavo là alla ricerca di un baule e ne uscì con una cassa di legno contenenti cinque bottiglie di Moscato.
Tra un paio di degustazioni e qualche omaggio, questa è l’ ultima bottiglia di quell’ acquisto.
Non l’ apro neanche se scendesse il Presidente della Repubblica in persona, ne sono terribilmente affezionato ’’.
La mia illusione in una ipotetica degustazione secolare si ruppe d’ incanto, ma provai lo stesso a immaginarla : ‘‘ Raccontami di quel vino quando lo assaggiasti per la prima volta, era ancora all’ altezza o fu una delusione ? ’’
‘‘ Aprire una bottiglia, che in quell’ epoca aveva 80 anni, non è mai una delusione, semmai una esperienza emozionante non facilmente ripetibile periodicamente.
Quel Moscato aveva un colore giallo ambrato, un pò provato dal tempo, l’ odore era ancora abbastanza intenso e penetrante, il sapore, sufficientemente aromatico, non era perfettamente equilibrato, in quanto la sua forza alcolica si imponeva in modo deciso sulle altre componenti un poco affaticate dalla lunga permanenza in bottiglia.
Io e i miei amici ci meravigliammo notevolmente della ottima tenuta alcolica, che dimostrava già l’ attenta imbottigliatura e chiusura esistente fin dall’ inizio del secolo.
Lo sperimentammo quasi subito la stappatura e dopo una mezz’ ora che la bottiglia era aperta.
Le differenze risultarono minime ; quel vino più di così non era in grado di dare.
Ma non fu una delusione per nessuno.
Infatti molti dei miei amici che lo sperimentarono, di tanto in tanto mi propongono delle offerte in denaro, in oggetti o in altre bottiglie di vino per questa bottiglia.
Ma non la vendo, fa parte di questa cantina, ne è la regina, forse l’ aprirò nel 2007 quando avrà un secolo di età ’’.
Alla fine di quel racconto ci rendemmo conto di aver ultrapassato abbondantemente l’ ora di pranzo.
Velocemente Fred prese una bottiglia di Marsala Solera Stravecchio con una decina di anni di invecchiamento e l’ offrì a Cristina : ‘‘ Prenda signorina, se la porti in Umbria e faccia conoscere un grande Marsala alla sua famiglia ’’.
Subito dopo, su invito rivolto dal padrone di casa, invito impossibile da declinare, ci recammo tutti quanti in un ristorante locale.
Dopo il pranzo salutammo il professore e sua moglie, e Salvatore ci accompagnò all’ albergo dove io e Cristina avremmo passato l’ ultima notte della vacanza.
Albergo indicatoci da Fred, il quale aveva preventivamente prenotato una stanza ; questo è il popolo siciliano, provare per credere.
Alle 19,30 il simpatico tecnico agrario si commiatò : ‘‘ Spero che di tutto questo ne conserverete un lieto ricordo ’’.
Io e Cristina rispondemmo in coro : ‘‘ Naturalmente, cosa si può pretendere di più alla fine di una vacanza fantastica come questa, per giunta decorata con una ciliegina come la cantina di Fred e i suoi tesori ?!’’
Forse quello che vi ho rubato – rispose Salvatore – Catania e il nostro vulcano.
Seguì una allegra risata generale.
‘‘ Sarà per la prossima volta, tutto questo per noi rimarrà indimenticabile e pretendiamo che questa esperienza sia possibile ancora molte volte.
Grazie Salvatore a grazie anche alla tua meravigliosa regione ’’.
La mattina del lunedì, di buon’ ora, io e la mia compagna prendemmo l’ auto in direzione dell’ antico ‘‘ Fretum Siculum ’’ ( Stretto di Messina ) e affrontammo l’ ultima tappa in territorio siciliano, con un groppo nella gola perché consapevoli di essere giunti al termine.
Prima di lasciare l’ isola però, in ricordo di tutto questo, comprai lungo il percorso una bottiglia di Malvasia delle Lipari.
Volevo berla con degli amici di Perugia, perché avevo molte cose da raccontare.
Eravamo spossati da quei intensi nove giorni, ma prontissimi anche a cominciare tutto di nuovo se fosse stato possibile, come succede a tutti coloro che hanno la fortuna di provare una autentica esperienza di Sicilia.
TEMPERATURA DI SERVIZIO : Bianco 8 – 10 gradi Rosso 16 – 18
*
Tra un boccone e l’ altro e tra un sorso di Corvo e un altro ancora, con Cristina programmai la parte finale della vacanza.
Erano quasi le 14,00 di sabato e il nostro rientro in Umbria era previsto ( obblighi di lavoro ) massimo per la mattina di martedì.
‘‘ Giovanni sarà che Salvatore telefona ? ’’
‘‘ Non so quello che dirti, ma nella ipotesi che non chiami io pensavo di fare così : passiamo questa notte a Palermo, domani mattina presto, molto presto, attraversiamo l’ isola intera e ci dirigiamo verso Catania e l’ Etna.
Lì trascorriamo la domenica intera, pernottiamo, e lunedì con la massima calma torniamo verso casa ’’.
Con il programma stilato dedicammo la parte finale di sabato sempre alla città di Palermo.
Verso le 17,30 di quel pomeriggio il mio cellulare squillò, sorpresa relativa in quanto la mia famiglia e quella di Cristina erano in continuo contatto con noi durante i vari spostamenti.
Risposi : ‘‘ Ehi ! Il mitico tecnico agrario ……Come stai ? …… Dimmi Salvatore …… domani ? ……
pensavo di andare a Catania, ma non è nulla di ufficiale …… d’ accordo, allora ti chiamo in casa domani mattina nel momento in cui sarò nelle prossimità di Enna …… ciao Salvatore, a domani ’’.
Cristina mi guardò sorridendo : ‘‘ Addio Catania ed Etna ……credo ’’.
‘‘ Te lo saprò dire domani mattina, Salvatore gioca a fare il misterioso, la sua sorpresa è praticamente pronta mi ha detto, lo devo richiamare domani per il luogo d’ incontro, ma non conosco né dove e né a che ora ’’.
Passammo gran parte della serata a conversare su quella telefonata.
Non perché l’ alone di mistero ci stava disturbando, semmai per la fastidiosa voglia di sapere qualche cosa di più che ci stava rosicchiando.
Me più che altro.
Il problema era che quel ‘‘ sadico ’’ di ampelografo preparò tutto con stile ‘‘ Giallo Mondadori ’’ e le domande, senza risposta, mi passavano vorticosamente una accanto all’ altra.
Domenica mattina alle 7,30 eravamo già prontissimi per la penultima tappa dell’ isola.
L’ Autostrada che lega Palermo a Catania è buona e suggestiva.
I 220 chilometri che la compongono non furono eccessivamente stancanti.
Alle 10,10 arrivammo nel cuore della Sicilia.
Approfittammo per rifocillarci un poco e, come previsto, per chiamare Salvatore.
‘‘ Sono nelle vicinanze di Enna, dimmi quello che devo fare ’’.
Salvatore rispose : ‘‘ Cerca nella tua mappa la città di ……, per arrivarci raggiungi …… e prendi la vecchia provinciale.
Da Enna senza fermarti ha i bisogno di un’ ora e mezzo di tempo.
Una volta arrivato a ……, ripeto entrando dalla vecchia provinciale che la unisce a Enna, ti fermi al primo distributore Agip che incontri.
Io sarò là ad aspettarvi.
Qualsiasi problema ti lascio il mio numero di cellulare ’’.
Arrivati a quel punto non sapevo ancora di cosa si trattasse la sorpresa di Salvatore, ma di due cose avevo la certezza : la prima era che, come all’ andata, non avremmo avuto la possibilità di visitare Catania e il suo famoso vulcano, la seconda che avrei raggiunto Salvatore anche in Sud Africa, tanto era forte la curiosità che mi aveva gettato addosso.
Non fu difficile, arrivammo in perfetto orario nel punto stabilito.
Regolarmente Salvatore era già là che ci stava aspettando.
‘‘ Mi dispiace ragazzi forse vi sto rovinando la parte finale della vostra vacanza, però vi assicuro che ne varrà la pena ’’. Poco dopo ci condusse in una bella villa della periferia.
Lì abitava un suo amico di molto tempo.
In rispetto alla sua ‘‘ privacy ’’ ne conserverò l’ anonimato, sia su quella città che sul suo nome : in questo libro lo chiamerò semplicemente Fred.
Professore di Università, sessant’ anni o poco meno molto ben portati, ci accolse con la solita squisita ospitalità dell’ isola.
Allora sono loro gli umbri appassionati di vini di Sicilia – disse rivolgendosi a Salvatore.
Esatto, e quello che hai non può che fargli piacere – rispose il nostro amico.
Dopo i primi convenevoli e scambi di opinioni attorno a un caffè servitoci dalla moglie, Fred ci invitò a seguirlo.
Percorremmo un lungo corridoio tempestato di quadri e arazzi, fino a raggiungere una porta dove entrammo e scendemmo in una rampa di scala.
In fondo ai gradini, in un bel pianerottolo di marmo, altre tre porte : prendemmo quella di sinistra.
Subito dopo scendemmo ulteriormente in una stretta scala di cemento di circa 10 gradini e con una sola piccola lampadina che la illuminava.
In fondo alla scala c’ era una bella colonna di marmo o simile di stile greco – romano, sopra la colonna una statua di Bacco con i suoi immancabili grappoli d’ uva nel capo a forma di corona.
A quel punto non avevo più dubbi.
La statua con il Dio del vino, l’ odore intenso di legno maturo e un sottile aroma che ricordava un vino degustato da poco ; quel locale non poteva che essere la cantina di casa.
E che cantina.
Fred accese le luci che davano sul soffitto, con un interruttore dotato di regolatore di intensità ; alla bassa luminosità proveniente dalla finestrella della cantina, si aggiunse una molto leggera provocata dalle lampade.
La cantina era un corridoio largo circa tre metri, profondo una ventina, e alto poco più di due, soffitto color marrone chiaro, pareti completamente chiuse da quattro scaffalature differenti – due per parte – interamente in legno di castagno.
In entrambe le pareti, al centro, una bella colonna dal soffitto al pavimento composta da varie file orizzontali di cinque coppi ognuna, contenente altrettante bottiglie, fungeva da divisore tra una scaffalatura e un’ altra.
Qui ci tengo vini di rapido consumo, non molto conosciuti ma tutti di produttori di mia fiducia – disse Fred.
E nelle altre scaffalature ? – domandai.
‘‘ La prima a destra contiene i grandi vini di Sicilia, la seconda sempre su quel lato, vini di altre regioni italiane tra cui anche un Sagrantino d Montefalco che è della vostra regione, dall’ altra parte conservo nella prima alcuni vini d’ Europa e del mondo, nella seconda, sempre a sinistra, i miei vini ‘‘ speciali ’’.
Non posso ora dilungarmi nell’ elencare tutte le opere d’ arte vinicole di quella incredibile cantina.
Posso dire che oltre a una quindicina di regioni italiane, l’ esperto Fred vi aveva collocato anche produzioni francesi, tedesche, spagnole, portoghesi, ungheresi, statunitensi, australiane, neozelandesi, brasiliane, cilene, argentine e sudafricane.
E nell’ angolo vini speciali, qual’ è il più speciale di tutti ? – chiese Salvatore.
‘‘ In quella parte ci tengo vini molto vecchi italiani e francesi, Champagne con bottiglie decorate, Madeira, Porto, Xérès, Vin Santo di ogni anno, vecchi anche di 20, Marsala Solera, ma fra tutti questi il mio orgoglio è un Moscato di Siracusa del 1907 ’’.
Quella bottiglia era là, adagiata in posizione orizzontale come tutte le altre, tra un vino francese e uno campano.
Sigillata con un tappo di sughero in ottime condizioni ( forse ritappata di recente ), la bottiglia era di color verde, ma il buon spessore di polvere che la rivestiva impediva di verificarne sia la tonalità del vetro che quella del vino secolare.
Per comprendere l’ importanza di quel vino e attribuire il giusto riconoscimento a quello che Salvatore aveva organizzato per noi, io e Cristina ne dovevamo conoscerne la storia.
*
Quella di Siracusa da sempre è tra le province più rinomate della Sicilia per il pregio e la nobiltà dei suoi vini.
Primo tra questi – alcuni dei quali prodotti in comuni che dal 1926 sono passati alla provincia di Ragusa, allora costituita, ma storicamente legati a Siracusa – è il Moscato.
Il famoso storiografo ed enologo Saverio Landolina Nava ( 1743 – 1814 ) lo ritenne identificabile con il ’’ Pollio siracusano ’’, vino ottenuto da quell’ uva ‘‘ Biblia ’’ ( dai monti Biblini nella Tracia ) che fu introdotta a Siracusa da Pollis, mitico tiranno della città all’ epoca dell’ insediamento delle prime colonie greche in Sicilia ( VIII – VII º secolo a. C. ).
Se il frammento dello storico latino Zenobio ( I º sec. a. C.) al quale Landolina Nava fa riferimento per formulare la sua ipotesi dice il vero, allora il Moscato di Siracusa è da ritenere uno dei vini più vecchi d’ Italia, se non addirittura il più antico.
Ma oggi questa perla dell’ enologia nazionale, a dispetto del prestigio millenario, si è persa.
Nell’ 800 grandi quantità di vino liquoroso erano vendute in tutti i mercati del mondo sotto l’ etichetta di un vino che delle cantine di Sicilia non conosceva neanche l’ odore e che si fregiava fraudolentemente di questo nome, per darsi un blasone che in realtà non possedeva.
Comunque una produzione, sia pur di piccole dimensioni, doveva aver luogo, se nel 1900 all’ Esposizione di Parigi due Moscato di Siracusa vennero premiati.
Ma già nel 1933 alla I º Mostra Mercato dei ‘‘ Vini tipici italiani ’’, il Moscato di Siracusa non comparve.
Dal 1983 nell’ albo dei vigneti a D.O.C. risulta iscritto solo mezzo ettaro di una unica azienda, ma non è riportata alcuna produzione.
Ogni enofilo non può esimersi dallo sperare che presto questo grande prodotto della terra di Sicilia ricompaia nelle cantine e sulle tavole degli amanti del buon vino.
Per ora dobbiamo accontentarci di vederlo vivere nella dimensione della memoria, habitat naturale di tutto ciò che, smessi gli abiti della storia, entra a far parte della leggenda.
Vinificato in purezza con il Moscato bianco ( denominato localmente Moscato giallo o Moscatello giallo ), presenta ( o presentava ) un profumo delicato e caratteristico, sapore dolce, vellutato, gradevole.
Gli abbinamenti ideali sono i dessert ma a che serve elencarli quando probabilmente per molti di noi è ancora una sensazione proibita.
CARATTERISTICHE DEL MOSCATO DI SIRACUSA
GRADAZIONE ALCOLICA : 16,5 gradi
COLORE : giallo oro vecchio con riflessi ambracei
TEMPERATURA DI SERVIZIO : 10 gradi
*
Come sei venuto in possesso di questa bottiglia ? – chiesi a Fred.
Con una buona dose di fortuna – rispose – .
‘‘ Partecipai a un’ asta antiquaria dove non erano presenti appassionati di vini come me, e quindi possibili accaniti concorrenti.
Infatti l’ asta era organizzata soprattutto nella vendita di mobili del ‘700 e dell’ 800 e per questo non attirò l’ attenzione di ‘ cacciatori di bottiglie ’’.
Oltretutto nell’ elenco degli oggetti in vendita non erano neanche collocate – e qui sorrise.
Fred continuò : ‘‘ Io mi trovavo là alla ricerca di un baule e ne uscì con una cassa di legno contenenti cinque bottiglie di Moscato.
Tra un paio di degustazioni e qualche omaggio, questa è l’ ultima bottiglia di quell’ acquisto.
Non l’ apro neanche se scendesse il Presidente della Repubblica in persona, ne sono terribilmente affezionato ’’.
La mia illusione in una ipotetica degustazione secolare si ruppe d’ incanto, ma provai lo stesso a immaginarla : ‘‘ Raccontami di quel vino quando lo assaggiasti per la prima volta, era ancora all’ altezza o fu una delusione ? ’’
‘‘ Aprire una bottiglia, che in quell’ epoca aveva 80 anni, non è mai una delusione, semmai una esperienza emozionante non facilmente ripetibile periodicamente.
Quel Moscato aveva un colore giallo ambrato, un pò provato dal tempo, l’ odore era ancora abbastanza intenso e penetrante, il sapore, sufficientemente aromatico, non era perfettamente equilibrato, in quanto la sua forza alcolica si imponeva in modo deciso sulle altre componenti un poco affaticate dalla lunga permanenza in bottiglia.
Io e i miei amici ci meravigliammo notevolmente della ottima tenuta alcolica, che dimostrava già l’ attenta imbottigliatura e chiusura esistente fin dall’ inizio del secolo.
Lo sperimentammo quasi subito la stappatura e dopo una mezz’ ora che la bottiglia era aperta.
Le differenze risultarono minime ; quel vino più di così non era in grado di dare.
Ma non fu una delusione per nessuno.
Infatti molti dei miei amici che lo sperimentarono, di tanto in tanto mi propongono delle offerte in denaro, in oggetti o in altre bottiglie di vino per questa bottiglia.
Ma non la vendo, fa parte di questa cantina, ne è la regina, forse l’ aprirò nel 2007 quando avrà un secolo di età ’’.
Alla fine di quel racconto ci rendemmo conto di aver ultrapassato abbondantemente l’ ora di pranzo.
Velocemente Fred prese una bottiglia di Marsala Solera Stravecchio con una decina di anni di invecchiamento e l’ offrì a Cristina : ‘‘ Prenda signorina, se la porti in Umbria e faccia conoscere un grande Marsala alla sua famiglia ’’.
Subito dopo, su invito rivolto dal padrone di casa, invito impossibile da declinare, ci recammo tutti quanti in un ristorante locale.
Dopo il pranzo salutammo il professore e sua moglie, e Salvatore ci accompagnò all’ albergo dove io e Cristina avremmo passato l’ ultima notte della vacanza.
Albergo indicatoci da Fred, il quale aveva preventivamente prenotato una stanza ; questo è il popolo siciliano, provare per credere.
Alle 19,30 il simpatico tecnico agrario si commiatò : ‘‘ Spero che di tutto questo ne conserverete un lieto ricordo ’’.
Io e Cristina rispondemmo in coro : ‘‘ Naturalmente, cosa si può pretendere di più alla fine di una vacanza fantastica come questa, per giunta decorata con una ciliegina come la cantina di Fred e i suoi tesori ?!’’
Forse quello che vi ho rubato – rispose Salvatore – Catania e il nostro vulcano.
Seguì una allegra risata generale.
‘‘ Sarà per la prossima volta, tutto questo per noi rimarrà indimenticabile e pretendiamo che questa esperienza sia possibile ancora molte volte.
Grazie Salvatore a grazie anche alla tua meravigliosa regione ’’.
La mattina del lunedì, di buon’ ora, io e la mia compagna prendemmo l’ auto in direzione dell’ antico ‘‘ Fretum Siculum ’’ ( Stretto di Messina ) e affrontammo l’ ultima tappa in territorio siciliano, con un groppo nella gola perché consapevoli di essere giunti al termine.
Prima di lasciare l’ isola però, in ricordo di tutto questo, comprai lungo il percorso una bottiglia di Malvasia delle Lipari.
Volevo berla con degli amici di Perugia, perché avevo molte cose da raccontare.
Eravamo spossati da quei intensi nove giorni, ma prontissimi anche a cominciare tutto di nuovo se fosse stato possibile, come succede a tutti coloro che hanno la fortuna di provare una autentica esperienza di Sicilia.
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